fonte: Avvenire
Caro direttore,
ovviamente come tutti, qui e altrove, sono sconvolto per
quanto accaduto a Parigi. Ragionevole e comprensibile è la reazione e la
conseguente riaffermazione della libertà di pensiero e di parola. Ora,
un po’ meno a caldo, vorrei condividere con lei due semplici
riflessioni. Anzitutto, io sono Charlie. Le piazze francesi sono invase
da persone che giustamente manifestano a favore della libertà di
espressione. Nulla può impedire tale diritto, da lungo acquisito dalla
cultura occidentale e giustamente da difendere. Anch’io mi unisco a
loro. In verità, si tratta di riconoscere il fondamento cristiano di
tale valore. Non si può bloccare tale libertà, per cui opinioni diverse,
democraticamente si confrontano e in tal modo favoriscono il dibattito
culturale, politico e civile. Il vostro-nostro giornale è l’espressione
di questa libertà nell’agone della nostra cara Italia. E ben venga, per
cui non è ammissibile che, in nome di Dio o di ideologie, si uccida o si
chiuda la bocca a chi non appartiene alla tua stessa sponda. Ma devo
anche dire, io non sono Charlie. Mi è capitato di vedere, scorrendo
internet, alcune vignette pubblicate dal giornale satirico. Ne sono
rimasto inorridito e mi sono sentito offeso nella mia fede cristiana
(specie vignette riguardanti Benedetto XVI). Mi ha fatto molto male.
Disegni di una volgarità estrema e di pessimo gusto. C’è, sì, una
libertà, ma non c’è forse anche una deontologia professionale da
rispettare? Ci hanno sempre insegnato che la tua libertà termina dove
inizia la mia. Ciò vuol dire che è sempre urgente mantenere un corretto
equilibrio tra le diverse possibilità. Ricordo, a partire dalla mia
infanzia, che l’educazione era: imparare a relazionarsi con gli altri in
modo corretto, gestendo le proprie reazioni, moderando il proprio
linguaggio e rispettando le regole. A questo siamo stati formati per
diventare persone rispettose e cittadini responsabili. Non tutto si può
dire e scrivere! Guarda caso, vedo proprio sul nostro giornale la
campagna “migliori si può – anche le parole uccidono”. Ben venga: posso
indiscriminatamente usare quelle parole, appellandomi al fatto che sono
libero da ogni costrizione? Allora che senso hanno le accuse di omofobia
o altro, se alla fine posso dire e fare tutto ciò che voglio? Mi ha
fatto piacere leggere la riflessione di Giuseppe Anzani e anche, su “La
Stampa on line” di venerdì 9 gennaio, il commento di Elena Loewenthal
ove dice: «Ma io non sono Charlie soprattutto perché non siamo tutti
vignettisti irriverenti come Wolinski... Il fondamento della libertà,
quella di essere e quella di esprimersi, sta nel riconoscere che il
mondo non è tutto uguale e noi nemmeno, anzi». Al di là dell’emozione
del momento, abbiamo di che pregare, ma nello stesso tempo anche di che
riflettere e seriamente. Da parte mia lo farò qui a Lourdes, ove, le
campane del santuario, insieme a quelle di Notre Dame a Parigi, hanno
suonato a morto, in memoria dei fratelli uccisi. Grazie ancora del
vostro lavoro.
padre Giuseppe Serighelli, passionista Lourdes
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