giovedì 31 maggio 2012

L'Italia si fa dentro le aule

di Giovanni Vecchio  

I giovani di Milano ci fanno entrare nella loro scuola: corsi di italiano per stranieri, incontri con gli amici dei campi rom, peché la condivisione e l'accoglienza sono un patrimonio per tutto il Paese
L'eco dell'esplosione avvenuta davanti alla scuola di Brindisi è subito risuonata in tutta Italia, toccando da vicino ogni ragazzo che è stato raggiunto dalla notizia dell'accaduto. È nelle aule che, fin da piccoli, si trascorrono gran parte delle proprie giornate, imparando la difficile arte del crescere come uomini e come cittadini: un attentato che colpisce dei giovani proprio nel momento in cui si recano a scuola non può lasciare indifferenti, l'identificazione con loro – con gli zaini, i diari, le interrogazioni da scongiurare – è immediata.
Per questo, i Giovani per un mondo unito di Milano hanno sentito forte l'esigenza di esprimere la loro vicinanza agli studenti dell'istituto Morvillo - Falcone, per dir loro «non siete soli». Ma ad un gesto folle, che lascia smarriti, si risponde anche contrapponendo i piccoli gesti concreti di ogni giorno con cui si cerca di costruire – invece che distruggere – il mondo intorno a noi.
L'esperienza quotidiana ha fatto crescere l'idea che il Paese in cui viviamo si costruisce anche dentro le aule; e non solo studiando, ma anche insegnando a propria volta. È quanto vivono alcuni ragazzi impegnati nell'Associazione Arcobaleno, dove una volta a settimana si dedicano all'insegnamento dell'italiano per i tanti stranieri presenti. Spesso non è facile: gli allievi sono tanti, hanno poca dimestichezza con l'alfabeto, e a volte oltre all'italiano devono imparare a come stare in classe; eppure, la sfida è sempre raccolta.
Tanto che al telefono uno di loro, Gabriele, mi chiede se può raccontarmi la sua esperienza tra qualche giorno: «Sai, siamo davvero presi con gli esami di italiano per ottenere la certificazione e ci teniamo che tutti passino».
Maria Teresa invece nel suo tirocinio visita regolarmente alcuni dei campi rom cittadini, entrando in relazione con una parte della città spesso dimenticata, se non volutamente presa di mira. In una delle baracche ha conosciuto Fabi, un bambino di sette anni, e con lui è nato un rapporto speciale: mano nella mano, lo accompagna in classe il primo giorno di scuola e si ricorda di portargli uno zainetto nuovo. Entrando in classe, dove imparerà una nuova lingua e conoscerà tanti amici italiani, il bambino è curioso e spaventato al tempo stesso; di sicuro, grazie alla mano stretta nella sua all'inizio della sua avventura scolastica si sente meno solo.
Proprio andando a lezione, Francesca incontra un ragazzo africano, che le chiede di acquistare un accendino in cambio di poche monete. Per chi non fuma si tratta di un oggetto davvero poco utile: perché allora non chiedere al ragazzo di cosa avesse veramente bisogno, per aiutarlo con ciò che davvero gli serve? Nasce così un'amicizia fugace, fatta di poche parole scambiate nel viavai degli studenti, ma sufficiente per capire in che modo poter dare una mano a lui e alle sue due figlie. Così, dopo qualche giorno Francesca si presenta con un pacco di suoi vestiti di bambina da regalargli; e anche se il ringraziamento non è molto caloroso, basta la consapevolezza di aver compiuto un gesto per niente scontato, in controtendenza con l'egoista frenesia della città.
Sono tanti i piccoli gesti quotidiani che possono nascere intorno alle aule e coinvolgerci in prima persona, chiedendoci di fare quanto possiamo per chi abbiamo intorno. La scuola insomma aiuta a metterci tutti i giorni alla prova: ma è anche con questo esercizio costante che possiamo imparare come accogliere l'altro; è anche con le semplici azioni di ogni giorno che possiamo dare una forma nuova al mondo intorno a noi.

Fonte: Città Nuova

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