Un convegno a Tunisi coinvolge cristiani e musulmani per
approfondire la reciproca conoscenza e riflettere sul diverso modo di vivere la
fede
In questi giorni ha preso il
via una conferenza internazionale che Oasis ha riunito a Tunisi su una
questione molto sentita e di grande attualità: “La religione in una società in
transizione. Come la Tunisia interpella l’Occidente”. Come afferma il
comunicato stampa della fondazione, nata a Venezia nel 2004 per iniziativa del
cardinale Angelo Scola al fine di promuovere la reciproca conoscenza e
l’incontro tra il mondo occidentale e quello a maggioranza musulmana, il
convegno di questi giorni desidera offrire un contributo per entrare sempre più
in profondità nella realtà tunisina.
Alla luce della decisione governativa
della scorsa settimana, che ha imposto il coprifuoco notturno nel Paese del
Nord Africa, il momento che fa da sfondo ai lavori è senza dubbio impastato di
tensioni, fermenti e di minacce. È, d’altra parte, un’atmosfera che pervade
anche l’Egitto e altri Paesi dell’area. L’iniziativa, quindi, ha un valore
indubbio e degno di ammirazione per il coraggio con cui la Fondazione desidera,
anche in momenti come questo, «studiare l’interazione tra cristiani e musulmani
e le modalità con cui essi interpretano le rispettive fedi nell’attuale fase di
mescolanza dei popoli, “meticciato di civiltà e di culture”, partendo dalla
vita delle comunità cristiane orientali»[1].
La Fondazione veneziana in
questi anni, attraverso pubblicazioni, eventi culturali, convegni e scambi a
diversi livelli, ha sempre mirato a mettere in evidenza la centralità del
dialogo fra le religioni come risposta alle criticità della globalizzazione e
dei processi migratori, sottolineando, fra l’altro un tema caro a Benedetto
XVI: «Il dialogo interreligioso passa attraverso il dialogo interculturale,
perché l’esperienza religiosa è vissuta e sempre si esprime culturalmente: a
livello teologico e spirituale, ma anche politico, economico e sociale»[2].
Al centro dei lavori di Oasis
ci saranno il futuro dei Paesi dell’area maghrebina, il loro anelito e sforzo
di realizzare la libertà, ma anche il destino delle comunità cristiane della
zona, sempre più minoranze e sempre più a rischio di fronte a un futuro carico
di incognite. «Oggi in Medio Oriente ci troviamo a fare i conti con un
movimento di protesta che sta cancellando uno dopo l’altro i regimi.
Aggrapparsi a quanto rimane del passato non è una buona strategia. I cristiani
locali perciò non hanno altra scelta che scommettere sul movimento
democratico»[3].
Il grande nodo lasciato fino ad
oggi insoluto dalle rivoluzioni arabe riguarda proprio l’incognita del rischio
della scelta fra la dittatura laica o una democrazia dal carattere
accentuatamente “islamico”. Ovviamente, non si tratta di trovare soluzioni
alternative, si dovrà accettare il compromesso di coalizioni e di negoziati fra
le parti, accettando, e questo non è mai facile per noi occidentali, che siano
le popolazioni locali a trovare una loro via alla realizzazione positiva dei
valori emersi dalle spinte al rinnovamento. È senza dubbio una via tutt’altro
che facile, ma che dobbiamo aver il coraggio di rispettare.
D’altro canto, non dovrebbe
sfuggire che uno dei problemi fondamentali dell’Europa oggi sta proprio nella
sfida che l’Islam pone alla sua laicità, intesa come esclusione del fattore
religioso dalla vita pubblica. Se da un lato l’esperienza democratica
dell’Europa può offrire alla Tunisia e all’Egitto una chiave per aprire porte importanti
al loro futuro, dall’altro le democrazie europee oggi assillate dallo spread,
dagli eurobond, dalla crisi in generale, sono chiamate a interrogarsi su cosa
significhi la cultura musulmana che è sempre più presente sui loro territori.
Proprio grazie ai musulmani, nelle nostre città e nei nostri Paesi ci rendiamo
conto che non è possibile privatizzare l’ambito del religioso e sarebbe bene
interrogarci, per una questione di reciprocità, su come conciliare la nostra
laicità europea alla dimensione pubblica della religione nell’Islam.
Potremmo trovare qui chiavi
importanti per leggere i passi da fare per il futuro dell’Europa ed evitare il
rischio di imporre ad altri modelli non consoni alla loro cultura e tradizione.
Roberto Catalano
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[2] Cfr. Ibidem.
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