Erano tempi di guerra e tutto crollava... questa frase di Chiara Lubich ha accompagnato arditamente l’alba del 25 ottobre. La notte era stata di incertezze e paure, in mezzo alla penombra, i venti, l’acqua ed i rumori di quanto cadeva; nella mia casa non è crollato il tetto e non avevamo idea del dramma che allo stesso tempo stavano vivendo migliaia, centinaia di migliaia di famiglie nella città di Santiago di Cuba e in molti dei suoi villaggi più vicini.
Soltanto quando è incominciato ad albaggiare il giorno e a diminuire la pioggia e il vento, abbiamo affrontato la realtà; abbiamo visto prima di tutto i luoghi più vicini del vecinato o il lavoro, poi in tutta la città la furia con la quale il vento ci aveva spogliato della vita, tetti, case, edifici publici, templi, dell’ombra ed il verde degli alberi; la furia con la quale il vento della notte aveva messo in evidenza la precarietà e vulnerabilità di tanti.
Quanto lavoro e sforzo, quanto luoghi di materiale che Sandy ha portato via con sè, mi dicevo. Di quello non c’è immagine che si possa prendere e plasmare: nessuna si avvicina alla realtà. Alcuni piangono, altri sistemano; ci sono chi aiutano, altri si approfittano e cercano di lucrare con la perdita altrui; ci sono chi da una mano per pulire, raccattare, mettere a posto, altri rimangono nel lamento inutile o nell’attesa che altri facciano quello che tocca a loro.Da tutta Cuba sono arrivate delle telefonate a quelli che conservavamo la “linea” o dei messaggi ai cellulari che sono diventati un ponte di collegamento e di salvezza tra famiglie, vicini e amici. Gli uni e gli altri domandano come stiamo, desiderano aiuto in qualche modo per lenire il dolore che esprimevano tra le immagini strazianti che faceva vedere la TV. Non potevamo vederle, durante molti giorni non abbiamo avuto elettricità, ancora oggi ci sono dei posti dove non è stato possibile ristabilire il servizio, quelle immagini le avevamo dappertutto davanti ai nostri occhi.
Cambiare quel volto di una città ferita è stato lavoro di molti, arrivati dagli angoli più lontani dell’isola e più al di là, perché molti degli operai elettrici sono arrivati da altri paesi dove offrivano il loro servizio. Quelli che hanno raccolto le macerie e spazzature, calculate in milliardi di tonnellate... quelli che appena hanno potuto cominciare a lavorare, hanno impastato e messo al forno il pane.
Cambiare il volto della città è opera di tutti, qui non ci si domanda come pensi, qual’è la tua ideologia, nè a cosa credi, chi è il tuo Dio... soltanto si sa che c’è un bisogno e si soccorre a quel fratello. Nessuno domandi neanche a chi tocca fare, ci tocca a tutti!
Erano tempi di guerra… e una sola la risposta: DIO E’ AMORE. Dopo il vento, dopo la notte desolata e desolante di uragano e timore, soltanto Dio che si traduce in carità e solidarietà, soltanto Dio che si fa risposta. Lì sono stati i giovani raccogliendo le macerie nelle loro case e quartieri, nei templi che come tutta la città hanno sofferto delle perdite o sono stati abbattuti dai venti; lì sono stati i più giovani, alcuni quasi bambini, riempiendo di gioia le sale da pranzo per gli anziani e bisognosi nelle comunità, portando i bidoni o lavando i piatti. Qui ci sono i giovani ed i meno giovani seminando la speranza.
Erano tempi di guerra.... e una sola la risposta: DIO E’ AMORE.
Articolo di Elena Maria una gen che ha scritto per un giornale nazionale della Chiesa a Cuba dopo l’uragano
Soltanto quando è incominciato ad albaggiare il giorno e a diminuire la pioggia e il vento, abbiamo affrontato la realtà; abbiamo visto prima di tutto i luoghi più vicini del vecinato o il lavoro, poi in tutta la città la furia con la quale il vento ci aveva spogliato della vita, tetti, case, edifici publici, templi, dell’ombra ed il verde degli alberi; la furia con la quale il vento della notte aveva messo in evidenza la precarietà e vulnerabilità di tanti.
Quanto lavoro e sforzo, quanto luoghi di materiale che Sandy ha portato via con sè, mi dicevo. Di quello non c’è immagine che si possa prendere e plasmare: nessuna si avvicina alla realtà. Alcuni piangono, altri sistemano; ci sono chi aiutano, altri si approfittano e cercano di lucrare con la perdita altrui; ci sono chi da una mano per pulire, raccattare, mettere a posto, altri rimangono nel lamento inutile o nell’attesa che altri facciano quello che tocca a loro.Da tutta Cuba sono arrivate delle telefonate a quelli che conservavamo la “linea” o dei messaggi ai cellulari che sono diventati un ponte di collegamento e di salvezza tra famiglie, vicini e amici. Gli uni e gli altri domandano come stiamo, desiderano aiuto in qualche modo per lenire il dolore che esprimevano tra le immagini strazianti che faceva vedere la TV. Non potevamo vederle, durante molti giorni non abbiamo avuto elettricità, ancora oggi ci sono dei posti dove non è stato possibile ristabilire il servizio, quelle immagini le avevamo dappertutto davanti ai nostri occhi.
Cambiare quel volto di una città ferita è stato lavoro di molti, arrivati dagli angoli più lontani dell’isola e più al di là, perché molti degli operai elettrici sono arrivati da altri paesi dove offrivano il loro servizio. Quelli che hanno raccolto le macerie e spazzature, calculate in milliardi di tonnellate... quelli che appena hanno potuto cominciare a lavorare, hanno impastato e messo al forno il pane.
Cambiare il volto della città è opera di tutti, qui non ci si domanda come pensi, qual’è la tua ideologia, nè a cosa credi, chi è il tuo Dio... soltanto si sa che c’è un bisogno e si soccorre a quel fratello. Nessuno domandi neanche a chi tocca fare, ci tocca a tutti!
Erano tempi di guerra… e una sola la risposta: DIO E’ AMORE. Dopo il vento, dopo la notte desolata e desolante di uragano e timore, soltanto Dio che si traduce in carità e solidarietà, soltanto Dio che si fa risposta. Lì sono stati i giovani raccogliendo le macerie nelle loro case e quartieri, nei templi che come tutta la città hanno sofferto delle perdite o sono stati abbattuti dai venti; lì sono stati i più giovani, alcuni quasi bambini, riempiendo di gioia le sale da pranzo per gli anziani e bisognosi nelle comunità, portando i bidoni o lavando i piatti. Qui ci sono i giovani ed i meno giovani seminando la speranza.
Erano tempi di guerra.... e una sola la risposta: DIO E’ AMORE.
Articolo di Elena Maria una gen che ha scritto per un giornale nazionale della Chiesa a Cuba dopo l’uragano
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