Copacabana è
da sempre una delle spiagge più famose al mondo. Sarà per l’acqua di cocco, il
lungomare a tasselli bianchi e neri a mosaico, o le belle signorine brasiliane
in costume, fatto sta che quando si nomina in Europa, la mente trova l’immagine
di un posto da sogno.
Non mi è mai piaciuto esaltare i luoghi dal nome celebre, reputo ce ne siano spesso molti altri poco conosciuti ed assai più affascinanti. Nella valutazione di un luogo entrano in gioco innumerevoli fattori che spesso cambiano nel tempo da soggetto a soggetto, tuttavia ne esiste uno, fondamentale, che non cambia mai: la bellezza del posto dipende dalla gente con la quale lo si vive. Questa spiaggia, oggi, almeno per quei tre milioni presenti alla veglia, è diventata qualcos’altro, qualcosa di invisibile e immensamente profondo: un vero “Campus Fidei” (Campo della fede).
Non mi è mai piaciuto esaltare i luoghi dal nome celebre, reputo ce ne siano spesso molti altri poco conosciuti ed assai più affascinanti. Nella valutazione di un luogo entrano in gioco innumerevoli fattori che spesso cambiano nel tempo da soggetto a soggetto, tuttavia ne esiste uno, fondamentale, che non cambia mai: la bellezza del posto dipende dalla gente con la quale lo si vive. Questa spiaggia, oggi, almeno per quei tre milioni presenti alla veglia, è diventata qualcos’altro, qualcosa di invisibile e immensamente profondo: un vero “Campus Fidei” (Campo della fede).
La nottata
ha visto un flusso di circa due milioni di persone accampate nelle zone
limitrofe alla spiaggia, ognuna come il buon istinto avventuriero consiglia:
chi sui marciapiedi del lungomare, chi sotto gli schermi, chi alle pompe di un
benzinaio, chi (pochi) come me, vicino al bagnasciuga, un luogo certamente a rischio
inondazione improvvisa, ma vi assicuro molto romantico.
Da un sacco
a pelo ho potuto ammirare:
la Croce del
Sud nella sua bellezza,
le navi, il
Pao de Azucar in lontananza.
E ancora
stupirmi
per i
ragazzi che si lavavano i denti nell’oceano
e si
svegliavano con un tuffo all’alba.
Non posso
certo dire di aver riposato molto gli occhi e la mente,
ma di aver
lasciato riposare l’anima sì,
e non capita
così di frequente.
Alla sveglia
c’è giusto il tempo per ballare tutti insieme il flashmob più grande mai realizzato
sul pianeta Terra, ma è incredibile come pure un momento così passi quasi
inosservato, tanta infatti è la voglia di rincontrare il Papa. Le sue parole giungono
qualche minuto dopo:
“Oggi, sono certo che
il seme cade in terra buona, che voi giovani volete essere terreno fertile, non
cristiani part-time, non di facciata, ma autentici. Sono certo che non volete
vivere nell’illusione di una libertà che si lascia trascinare dalle mode e
dalle convenienze del momento. So che voi puntate in alto, a scelte definitive che diano senso pieno alla vita.”
In
un mondo che vuole apparenza, ecco il ruolo dei “papa guys”, andare
controcorrente, essere sostanza, anima viva del mondo.
“Gesù ci offre qualcosa
di superiore della Coppa del Mondo!” continua il papa, “Ci
offre la possibilità di una vita feconda e felice, ma ci chiede di allenarci
per “essere in forma”, per affrontare senza paura tutte le situazioni della vita.”
Ecco
il “papa Francesco style” di cui scrivevo pochi giorni fa, attuale, giovanile,
diretto. La citazione alla Coppa del Mondo è tenera come una carezza e potente
come un pugno: ritrova il cuore del giovane più lontano ma allo stesso tempo
richiama a tutte le proteste che in questi ultimi mesi hanno invaso il Brasile.
La risposta è quella di andare più in là del nostro stesso sguardo, di aprirci,
di allenarci attraverso la preghiera, i sacramenti, il saper ascoltare, il
comprendere, il perdonare, l’accogliere ogni persona senza esclusione alcuna.
“Cari giovani”,
esorta Francesco, “siate veri atleti di Cristo, costruttori della Chiesa, protagonisti
della storia”.
Mi trovo a metà di quel fiume di gente che gli elicotteri
continuano ad immortalare e quello che un normale giornalista lascerebbe
all’ovvietà è per me la cosa più impressionante: il silenzio assoluto di tre
milioni di persone in meditazione che fa più rumore di qualsiasi flashmob.
“'Gesù si rivolge a
ognuno di voi, dicendo: ‘E’ stato bello partecipare alla Giornata Mondiale
della Gioventu’, vivere la fede insieme a giovani provenienti dai quattro angoli
della terra, ma adesso è l’ora di andare e portare questa esperienza nel
mondo.”
Il
papa termina annunciando la prossima edizione della GMG. Le bandiere Polacche
sventolano alte nel vento ed un pensiero di ringraziamento non può non andare a
chi ha dato il via alle Giornate mondiali della gioventù: Giovanni Paolo II. A
Cracovia nel 2016 ci andremo anche per lui, Santo dei nostri giorni.
La
festa della fraternità torna a spargersi per tutta la città di Rio de Janeiro,
per tutto il Brasile e per tutti i continenti. È l’ora di tornare a casa.
Scambio
la bandiera dell’Italia con una felpa brasiliana. Faccio un ultimo meritato
tuffo tra le onde dell’Atlantico. Raccolgo zaino e sacco a pelo e mi avvio
verso la stazione metropolitana più vicina.
Prima
di imboccare la via, rivolgo un ultimo sguardo al Campus Fidei: sono ancora
migliaia quelli che ballano, scambiano oggetti del proprio paese e giocano a
pallone.
Allontanandomi
da Copacabana percepisco una sottile nostalgia, un ultimo brivido che si
abbandona alla gioia. Da queste parti la chiamano “Saudade.”
La
Giornata mondiale della gioventù è adesso nel mondo.
Andrea Cardinali
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