lunedì 21 ottobre 2013

Diario dalla Siria /42

A cura di Maddalena Maltese
Fonte: Città Nuova
I prezzi spropositati dei beni di prima necessità, la costante insicurezza, il bisogno insopprimibile di normalità rendono impossibile immaginare una vita nel Paese dopo quasi tre anni di conflitto
In Siria la vita continua ad essere terribilmente difficile, per tutti, e se ci sono ancora alcune regioni risparmiate dalla violenza, non si sa fino a quando ce la faremo a resistere sia a livello di stress che a livello economico. I prezzi sono alle stelle, la gente nella grande maggioranza pensa solo a garantirsi il cibo perché tutto il resto è diventato superfluo e questo per persone abituate a lavorare è come uno schiaffo, sentono che anche la loro dignità è stata calpestata da questa guerra. In questi ultimi giorni in certe parti della città di Aleppo una bombola di gas ha raggiunto il prezzo esorbitante di 18000 LS, pari a uno stipendio mensile decisamente buono, e la “rabta”, il pacchetto di otto pezzi del buon pane arabo, sfiora ora le 800 lire, quando l’anno scorso lo si trovava a 45.
L’insicurezza nel Paese è sovrana, in tante località o quartieri delle città si convive con il rischio, quando si esce di casa, ci si chiede: rientreremo? Come mi confidava poche settimane fa una giovane amica: «La guerra in Siria mi ha insegnato a santificare l'attimo presente. Ogni giorno esco da casa e consegno la mia vita a Dio, mettendola fra le sue mani perché ho fiducia in Lui. Anche se muoio non ho paura, vuol dire che la mia missione in questa vita è finita, e se vivo ancora vuol dire che c'è qualcosa che devo portare al mondo».
Restare in Siria oggi per tanti cristiani significa dunque restare fedeli alle parole di Gesù che ci ripetono in infiniti toni: ama, amate, restate uniti, perdonate, e allora ecco il miracolo che davvero ci stupisce: viviamo “fuori di noi”, per gli altri, non pensiamo che ad amare, a aiutare con azioni concrete chi ha perso la casa, il lavoro, a disarmarci continuamente di fronte ai risentimenti o anche alla rabbia che si può provare nel cuore, a migliorare i rapporti con tutti e questo ci fa restare in una certa normalità, ci dà pace e in tanti sentiamo che è proprio in Siria il nostro posto, perché proprio lì si può portare l’unità e di questo c’è estremo bisogno.
Giò Astense


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