A cura di Maddalena Maltese
I prezzi spropositati dei beni di prima necessità,
la costante insicurezza, il bisogno insopprimibile di normalità rendono
impossibile immaginare una vita nel Paese dopo quasi tre anni di conflitto
In Siria la vita continua ad essere terribilmente
difficile, per tutti, e se ci sono ancora alcune regioni risparmiate dalla
violenza, non si sa fino a quando ce la faremo a resistere sia a livello di
stress che a livello economico. I prezzi sono alle stelle, la gente nella
grande maggioranza pensa solo a garantirsi il cibo perché tutto il resto è
diventato superfluo e questo per persone abituate a lavorare è come uno
schiaffo, sentono che anche la loro dignità è stata calpestata da questa
guerra. In questi ultimi giorni in certe parti della città di Aleppo una
bombola di gas ha raggiunto il prezzo esorbitante di 18000 LS, pari a uno
stipendio mensile decisamente buono, e la “rabta”, il pacchetto di otto pezzi
del buon pane arabo, sfiora ora le 800 lire, quando l’anno scorso lo si trovava
a 45.
L’insicurezza nel Paese è sovrana, in tante
località o quartieri delle città si convive con il rischio, quando si esce di
casa, ci si chiede: rientreremo? Come mi confidava poche settimane fa una
giovane amica: «La guerra in Siria mi ha insegnato a santificare l'attimo
presente. Ogni giorno esco da casa e consegno la mia vita a Dio, mettendola fra
le sue mani perché ho fiducia in Lui. Anche se muoio non ho paura, vuol dire
che la mia missione in questa vita è finita, e se vivo ancora vuol dire che c'è
qualcosa che devo portare al mondo».
Restare in Siria oggi per tanti cristiani significa
dunque restare fedeli alle parole di Gesù che ci ripetono in infiniti toni:
ama, amate, restate uniti, perdonate, e allora ecco il miracolo che davvero ci
stupisce: viviamo “fuori di noi”, per gli altri, non pensiamo che ad amare, a
aiutare con azioni concrete chi ha perso la casa, il lavoro, a disarmarci
continuamente di fronte ai risentimenti o anche alla rabbia che si può provare
nel cuore, a migliorare i rapporti con tutti e questo ci fa restare in una
certa normalità, ci dà pace e in tanti sentiamo che è proprio in Siria il
nostro posto, perché proprio lì si può portare l’unità e di questo c’è estremo
bisogno.
Giò Astense
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