Di Giampiero Gramaglia
L’Italia è stata leader in Europa, sulla ratifica del
trattato sul commercio delle armi illegali. Ma, ora, gli occhi sono puntati al
Parlamento europeo, senza il cui voto il deposito delle ratifiche non può
avvenire.
Del trattato e delle prospettive di un mercato comune
della difesa, preludio ed elemento costituente di una difesa europea, si è
parlato nella Sala del Mappamondo di Montecitorio, in un convegno dal titolo ‘Più
regole, meno violenze - Aspetti innovativi del Trattato internazionale sul
commercio delle armi’.
Guardano al Vertice europeo di metà dicembre, dedicato
alla difesa, e, in particolare, all’attuazione d’un mercato comune in tale
ambito, il ministro della Difesa Mario Mauro non nasconde il rischio che
l’appuntamento sia un festival del “dire senza fare”, mentre – a fronte di una
situazione in cui i 28 dell’Ue spendono per la difesa più di Usa, Russia e Cina
- la prospettiva dovrebbe essere quella di una messa in comune delle risorse
nella prospettiva di una difesa europea.
Per il ministro, il trattato rappresenta “un passo
avanti”: Esso, sottolinea la presidente della Camera Laura Boldrini, “è frutto
del lavoro di un’ampia coalizione internazionale, un ampio fronte che deve
continuare a battersi perché serve uno sforzo globale, multilaterale e
bilaterale per l’entrata in vigore”.
Ad oggi, il trattato, approvato da 154 Paesi, è stato “ratificato
da meno di 10 Paesi” e ne servono 50 perché entri in vigore. Si tratta – parole
della Boldrini - di “uno strumento potente per ridurre il commercio delle armi
illegali perché avere meno armi in circolazione significa avere meno atrocità e
meno violenze”.
E la presidente della Camera, ex funzionaria Onu, ricorda
– come vari altri oratori - che “sempre più spesso le armi vengono puntate
contro civili e operatori umanitari” e che “vengono bloccati per giorni
convogli di aiuti”: “in questi anni
abbiamo perso tanto personale delle ong, tanti colleghi”, mentre donne e
bambini sono le principali vittime delle armi in qualsiasi contesto esse siano
usate.
Per convincersi che il trattato sul commercio delle armi
illegali sia una buona cosa, basta guardare a chi s’è battuto contro: Corea del
Nord, Siria e Iran. E per avere la prova che esso non riguarda solo situazioni
di conflitto, basta vedere che, fra i primi a ratificarlo, vi sono stati – osserva
la Zappia -Messico e Nigeria, Paesi che subiscono la violenza della criminalità
e del terrorismo.
Bisogna però coinvolgere nell’attuazione i grandi
esportatori, Stati Uniti, Russia, Cina, che coprono il 60% dell’export mondiale
di armamenti -il resto è sostanzialmente assicurato dall’Ue - e convincere
l’industria che le nuove regole sono nel suo interesse, oltre che giocare
sull’impegno della società civile, spesso già in prima linea in questa
battaglia.
Le armi convenzionali – osserva Frattini - sono “uno
strumento strategico micidiale”: sono esse le vere armi di distruzione di massa
perché, dopo la Seconda Guerra Mondiale, hanno ucciso decine di milioni di
persone, mentre le armi chimiche e nucleari, il cui potenziale è di per sé
dissuasivo, sono stati usati sporadicamente –i gas- e mai –l’atomica-.
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