Di Luigi Butori
Fonte: Città Nuova
Nel periodo natalizio la città è particolarmente bella:
luci e decorazioni accompagnano chi passeggia per le strade del centro. Ma la
mia sete di Natale non era appagata... Una testimonianza
Bangkok è una città bella, interessante, variegata e gentile,
dove ti puoi trovare bene subito per l’accoglienza che la gente riserva a
tutti, sorattutto agli stranieri. Sei in difficoltà? Chiedi aiuto a chi passa e
stai sicuro che una mano ti verrà data. Ai “thai” piacciono gli stranieri, è
sempre stato così. Sono thai, cioè liberi. Vuoi conquistare i loro cuori?
Amali.
In questo periodo “freddo” (si arriva anche a 18 gradi)
si sta bene. In giro si notano tante decorazioni: renne, babbi Natale a non
finire, slitte, regali, orsetti appesi agli alberi, neve artificiale e... solo
questo? No. Le chiese cristiane sono presenti e di tante denominazioni: il
Natale è sentito anche come festa religiosa e sempre di più la gente sa di cosa
si tratta. Ci sono gruppetti di studenti che cantano canzoni e raccolgono fondi
per le vittime dell’inondazione nelle Filippine, per esempio: tra pochi giorni
ne ospiterò uno a casa. È un piacere vedere questi giovani spendere tempo ed
energie per altri che ne hanno bisogno. Qualche settimana fa sono stato
chiamato nella baraccopoli più grande della città, non lontana da casa, per
parlare del Natale ai bimbi di un centro di aiuto. È stata un’occasione unica
poter stare con i più poveri e vivere insieme un momento di gioia e di dono
reciproco. Perché il Natale è anche questo.
In quei giorni sentivo forte che tutto quanto vedevo
fuori, per le strade, non mi soddisfaceva pienamente: anche di notte sono
andato in giro per le strade, per vedere le luci, ma non riuscivano a riempire
la sete di Natale che sentivo dentro. E rimanevo con un desiderio nell’anima.
In fondo anch’io sono figlio di questa società dei consumi e non mi accontento
mai di quanto ho: come dire, a Natale, regaliamoci qualcosa. A un certo punto
mi sono ricordato di un’amica cambogiana che desiderava un telefonino; ne ho
subito riparato uno che avevo in casa e l’ho chiamata per dirglielo. Sbuccia le
noci di cocco col marito, il bimbo di 12 e la bambina di 7 anni in una fabbrica
abusiva, a circa 50 chilometri, appena fuori la città. «Vengo sabato a trovarti
e ti porto il cellulare che volevi».
È stata felicissima della notizia. Le porterò anche del
cibo, per far festa: in genere mangiano poco e male, quando mangiano. Poi ho
accompagnato un amico a spedire dei pacchi di giocattoli venuti dall’Italia per
dei bambini di un centro di accoglienza, nel Nord della Thailandia. Che fatica
questi pacchi, mi dicevo camminando: ed erano davvero pesanti. Ma era più
importante non lasciare il mio amico da solo a fare tutto questo. Sulla strada
di ritorno verso casa, sotto il ponte dell’autostrada, punto di svincolo e di
passaggio di centinaia di persone al minuto, trovo un ragazzo giovane che parla
da solo: era sporco e nessuno lo guardava in faccia. Ho tirato dritto, ma ho
avuto un rimorso. Certo, avevo anche vergogna: in quanti mi avrebbero visto? E
poi il mio amico se la sentirà di aiutare questo ragazzo, evidentemente fuori
di testa?
Dopo essere passato dalla banca non ce l’ho più fatta e
sono tornato indietro pensando tra me: «Se il papa invita dei barboni a
colazione, perché io non posso almeno comprare il pranzo a questo qui?». Sono
arrivato, aria gelida tutt’intorno, imbarazzante: qualcuno mi guardava
stranito. Sono andato e ho comprato un sacchetto di frutta: «Ti piace?», ho
chiesto al ragazzo, che intanto mi aveva notato. E lui, calmo e sereno, mi ha
risposto: «Sì, grazie. E mi compreresti anche un dolcetto?». Siamo andati
insieme alla bancarella di fronte e ho preso il pranzo intero. Lui felice ha
preso il cibo ed è andato via quasi di corsa. Ho pagato e sono andato dalla
parte opposta. Ho visto, con la coda dell’occhio, che lui si era già dileguato
tra la folla. «Beh, almeno oggi mangerà», ho detto al mio amico. Chissà se domani
lo ritroverò ancora qui? Comunque è vicino casa.
Mi sono avviato per la strada e non ho osato guardarmi
intorno. Mi sono sentito osservato, discretamente, dalla gente. Il mio cuore
"batteva a mille", come ogni volta che aiuto qualcuno. Ecco: questo è
stato il mio Natale, perché ho amato questa persona, almeno un po’. E questo
Natale voglio offrirlo a questa città meravigliosa, a tutta la gente che vi
abita, a quei bimbi uccisi e anche al serial killer. Spero che l’amore tra gli
abitanti e l’aiuto reciproco splendano sempre di più. Spero di cambiare io,
giorno dopo giorno. Ho imparato tanto in questi anni, nel senso di umanità; e
mi hai dato la possibilità di aiutare un po’ della tua gente: in modo semplice,
come è semplice la vita di una persona comune, come me. Sono felice d’aver
vissuto qui anche questo Natale. Grazie Bangkok!
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