mercoledì 12 febbraio 2014

Sono forse io il custode di mio fratello?

Di Zygmunt Bauman
[…] Quando Dio domandò a Caino dove si trovasse Abele, Caino, adiratosi, replicò con un'altra domanda: «Sono forse il custode di mio fratello?». Il maggiore filosofo morale della nostra epoca, Emmanuel Levinas, osservò: da quella rabbiosa domanda di Caino ebbe inizio ogni immoralità. Certamente sono io il custode di mio fratello … Che io lo ammetta o no, sono il custode di mio fratello perché il suo benessere dipende da ciò che io faccio o che mi astengo dal fare. Sono un essere morale perché riconosco questa dipendenza e accetto la responsabilità che ne consegue. Nel momento in cui metto in discussione tale dipendenza domandando ragione — come face Caino — del perché dovrei prendermi cura degli altri, in questo stesso momento abdico alla mia responsabilità e non sono più un essere morale. La dipendenza del fratello è ciò che fa di me un essere morale. La dipendenza e la morale o si danno insieme, o non si danno.

Tutto questo non è una buona notizia per chi cerca pace e tranquillità. Essere custodi dei propri fratelli rappresenta una sorta di condanna permanente a un lavoro faticoso e carico di ansia morale, che sarebbe impossibile acquietare. Ma questa è una buona notizia per l'essere morale: è precisamente nella situazione vissuta ogni giorno dagli operatori sociali, una situazione fatta di scelte difficili, senza titolarità di garanzie né sicurezze, che la responsabilità per l'Altro, fondamento di ogni etica, emerge in sé e per sé.
In definitiva ritengo che il futuro del lavoro sociale, e più in generale dello Stato sociale, non dipenda da classificazioni o procedure, né da un atteggiamento riduzionistico rispetto alla varietà e alla complessità dei bisogni e dei problemi umani. Dipende, invece, dagli standard morali della società di cui siamo tutti abitanti. Sono questi standard etici, ben più della razionalità e dell'accuratezza degli operatori sociali, a trovarsi, oggi, in crisi e a repentaglio.

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