Di Francesca Cabibbo
Fonte: Città Nuova
L’esperienza vissuta a Siracusa da giovani provenienti da
tutta Italia ha aperto in loro nuove prospettive, grazie all'incontro con
ragazzi provenienti da situazioni difficili o da Paesi in guerra
Campus dei Giovani per un mondo unito a Siracusa
Un murales sul muro d’ingresso della scuola. Le mani
colorate imprimono sulla pareti bianche l’impronta di bambini che hanno
partecipato al Campus Siracusa 2014. E le firme dei giovani, di tutta Italia,
che qui hanno vissuto per due settimane, insieme a loro. I “Giovani per un
mondo unito” ed i loro amici hanno respirato l’aria di Siracusa, hanno provato
a vivere qui un’esperienza di fraternità. Vera. Il murales è il dono finale
alla scuola che li ha ospitati, l’Istituto comprensivo Nino Martoglio. Sarà,
per chi entrerà e per chi trascorrerà qui le sue giornate, il ricordo di
un’esperienza che ha lasciato il segno.
Al centro del murales la scritta: “Fai agli altri ciò che vorresti
fosse fatto a te”. È la “regola d’oro” presente in tutte le religioni
del mondo. Una regoletta semplice, solo apparentemente…! Che a Siracusa ha
assunto i connotati di un dono: il “dono di quindici giorni di vita di giovani
di varie città, del Nord, del Centro, del Sud, per i bambini del quartiere
Santa Panagia, uno dei rioni popolari, dove la vita scorre a tinte forti. E per
i giovani del centro di accoglienza per immigrati di Priolo: tutti minori, in
attesa che un permesso di soggiorno, o il riconoscimento dello status di
rifugiato, apra loro nuove prospettive di vita. In un paese che hanno cercato,
l’Italia, e che li accoglie oggi alla men che peggio, con grandi capannoni che
si trasformano in un grande dormitorio.
“Niente sarà più lo stesso, in questa scuola, dopo questa
esperienza – afferma la preside, Giusy Aprile – per chi entrerà, quella frase,
sarà un programma di vita. Per i ragazzi, un nuovo metodo che hanno
sperimentato e che potrà aiutarli anche nel percorso scolastico. Proporrò di
inserirlo nel “POF”, il programma dell’offerta formativa della scuola per il
prossimo anno. L’esperienza vissuta in questi giorni può essere un progetto
pilota che la Regione potrebbe far suo e far sperimentare anche altrove”.
La scuola “Nino Martoglio” si è trasformata nella sede
logistica del campus “Siracusa Summer
2014”. Giochi, workshop, laboratori di teatro, di musica e di pittura,
laboratorio di giornalismo e piccoli tornei sportivi, con il ping pong e
l’immancabile calcio ad un pallone. “Le attività di workshop con i bambini –
racconta Raffaele Natalucci, di Roma – ci hanno fatto conoscere contraddizioni
e ferite più o meno profonde: figli di genitori in carcere o parenti coinvolti
di recente in scontri a fuoco”. È questo il vissuto che spesso contiene la vita
di questi bambini, una sessantina quelli che hanno partecipato al campus. Per
loro, la vita ha riservato momenti duri fin dalla tenera età. Li ha rodati,
temprati, ha insegnato loro ad esprimersi. Con parole e gesti spesso diversi
dai loro compagni di quartieri più fortunati. “Dagli abbracci,
dall’aggressività e dalle provocazioni dei bambini – racconta Raffaele, di Roma
- traspare un costante bisogno di punti di riferimento e di persone fidate: in
sostanza una continua ricerca di affetto. L’esperienza vissuta con loro ha
spinto noi animatori a conoscerci e a mettere in comune le nostre capacità,
attitudini e interessi, amplificandoli al massimo”. I giovani animatori del
campus (circa 120 coloro che si sono avvicendati nelle due settimane) qui hanno
dato e qui hanno ricevuto. L’impronta di una vita diversa, che è giunta al loro
viso come una folata di vento. Improvvisa. E tonificante.
A Priolo hanno incontrato giovani come loro. Provenienti
da Paesi in guerra. In fuga dalla morte per cercare una vita diversa. Un
pallone e poco altro per riempire le loro giornate. In una classe improvvisata
seguono delle lezioni di italiano, per imparare a muoversi nella nuova patria
che li accoglie. I giovani del campus li hanno incontrati un pomeriggio. Lì si
è svolta una tavola rotonda per comprendere insieme cosa c’è dietro il fenomeno
delle migrazioni. Per andare al di là dei luoghi comuni che spesso coalizzano
paure inconfessate e timori ingiustificati.
“Parlare con
giovani provenienti da Paesi africani o dal Medio Oriente – continua
Raffaele - ci ha consentito di spostare in avanti e di aprire i nostri
orizzonti: è stato un conoscersi e un riconoscersi sperimentando un’affinità di
speranze e di visioni del mondo! Con alcuni giovani provenienti dal Gambia
abbiamo “scommesso” sulla possibilità di costruire un futuro in Italia; al
momento di salutarci le parole “buona fortuna” e gli abbracci esprimevano tutto
il calore di una famiglia”.
Le esperienze “vere” hanno lasciato il segno. Chi è
partito scrive agli amici che sono ancora a Siracusa. “Dopo questa esperienza –
racconta Giuseppe, di Cosenza - sicuramente non sarò più lo stesso. Porto a
casa tante, tante cose e una grande voglia di vivere la fraternità. Durante il
viaggio di ritorno in treno, in uno dei cambi che ho fatto, un ragazzo di
colore che sapeva parlare solo inglese mi ha chiesto informazioni sui treni (si
trovata infatti sul treno sbagliato). Poterlo aiutare mi ha dato una grande
gioia, segno proprio del cambiamento che questi giorni è avvenuto in me”.
“Stamattina sono andata al mare - racconta Annachiara, di
Roma - che tristezza: con me solo mia sorella e mia madre a farmi compagnia … e
non gli oltre 40 pazzi amici. Sono passati, come di consueto, i “vu cu mprà” e,
forse per la prima volta, li ho guardati davvero negli occhi. I vicini
reagivano, li trattavano e li allontanavano come bestie. Mi chiedo se pensano
che una “persona” possa affrontare un’odissea con l’obiettivo di venire a fare
il “vu cumprà” in Italia. Siamo limitati dall’apparenza delle cose. Bene:
adesso inizia il vero “campus!”
Anche Jennifer, di Vicenza, ha la valigia in mano, e
tanta voglia di raccontare: “Quando fai esperienze forti che ti fanno crescere
così tanto, quando ritorni alla routine, tutto quello che ti circonda è privo
di stimoli.. rischi di vivere di ricordi e malinconia.. no ragazzi, le
esperienze così sono i trampolini di lancio per migliorare il grigio che ci
circonda”.
D’accordo anche Ester di Catania: “Il campus - afferma -
inizia adesso. Penso che tutto quanto abbiamo vissuto non può e non deve essere
solo frutto di un atto d'amore, perché è un diritto. È il diritto di tutti ad
avere qualcuno che si prenda cura di ciascuno, che guardi negli occhi e veda
chi c'è davvero, che si tratti di un bambino, di un immigrato o di chiunque
altro. Devo ricordarmene sempre. E tocca a noi cambiare il mondo! E tocca a noi
non perdere tempo!”
Qualcuno parte, altri lo faranno tra poco. Il “campus”
chiude tra qualche ora, i bambini si affollano ancora attorno alla scuola per
strappare gli ultimi momenti di intimità con i loro nuovi amici. Oltre quella
strada larga li attende la vita, si spera migliore di quella affrontata finora.
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