Proposte culturali, workshop con esperti, testimonianze, realizzazioni e progetti per costruire insieme una nuova cultura dello sport - Marco Catapano, Città Nuova
È possibile riflettere, confrontarsi e dialogare insieme sul ruolo dello sport, dando a questo una valenza prettamente educativa e sociale? È possibile vivere e promuovere una cultura sportiva che diventi occasione di fraternità, di incontro con l’altro? È possibile crescere come sportivi crescendo anche come cittadini? I partecipanti al congresso internazionale di Sportmeet che si è svolto a Castel Gandolfo (Roma) dall’8 al 10 aprile, pensano che sì, tutto questo sia davvero possibile.
È possibile riflettere, confrontarsi e dialogare insieme sul ruolo dello sport, dando a questo una valenza prettamente educativa e sociale? È possibile vivere e promuovere una cultura sportiva che diventi occasione di fraternità, di incontro con l’altro? È possibile crescere come sportivi crescendo anche come cittadini? I partecipanti al congresso internazionale di Sportmeet che si è svolto a Castel Gandolfo (Roma) dall’8 al 10 aprile, pensano che sì, tutto questo sia davvero possibile.
Sport in … movimento - Paolo Crepaz, medico dello sport, docente di pedagogia dello sport e presidente di Sportmeet, all’inizio del Congresso ha lanciato una sfida: «Quando per il congresso abbiamo scelto il titolo “Lo sport muove le persone e muove le idee” avevamo in mente di confrontarci insieme sul ruolo dello sport nel suo saper muovere: “muovere” nel senso di far alzare dalla sedia, di far uscire all’aria aperta, dell’aiutare a superare la sedentarietà e scoprire la bellezza dell’attività fisica, ma anche “muovere” nel senso di risvegliare le idee, mettere in moto la creatività, attivare la partecipazione ed il senso di responsabilità».
Così, i tre giorni del convegno hanno offerto ai partecipanti (250 in rappresentanza di 21 nazioni) un importante momento di approfondimento e confronto. Tra di loro, una varietà di sportivi: insegnanti di educazione fisica, allenatori, dirigenti di società, atleti ed ex atleti. Semplici appassionati, che magari praticano sport solo per puro divertimento, ma anche grandi campioni. Tutti uniti da una visione comune dello sport. Non quella spesso decantata dai media, dove sembra contare solo il successo, dove il gioco sembra passare in secondo piano rispetto al risultato che va raggiunto ad ogni costo, ma quella di uno sport diverso, dove l’attività sportiva diventa realmente occasione di crescita personale e incontro con l’altro.
Educazione alla pace attraverso lo sport
Tanti progetti concreti, sostenuti od ispirati direttamente da Sportmeet, sono già una viva realtà in tante parti del mondo. Tra questi, Sport4Peace, che come ha spiegato Alois Hechenberger, docente austriaco di pedagogia del gioco e dell’animazione, «invita a sperimentare in un gioco o in una competizione sportiva uno dei sei motti presenti su una faccia di un dado gonfiabile che si getta insieme. Le regole sono espressioni di quella che viene considerata “la regola d’oro”, presente in diverse espressioni in tutte le religioni e le culture, anche non religiose, che è “fai agli altri ciò che vorresti fosse fatto a te”. Le regole sottolineano l’atteggiamento interiore di ogni partecipante invitandolo nel contempo a dare il meglio di sé e a trattare con rispetto l’altro, sia esso un avversario o un compagno di squadra».
Oggi, il dado di Sport4Peace è presente sul tavolo di alcuni dirigenti d’azienda e di alcuni amministratori comunali che lo usano nelle riunioni di lavoro, ma è anche strumento di un percorso educativo promosso da Sportmeet in diversi paesi in via di sviluppo. In Libano, ad esempio, dove ispirati dal dado giocano insieme ragazzi cristiani e mussulmani, o in Sudan, dove insegnanti cattolici e mussulmani si sono formati insieme al progetto e lo promuovono nelle scuole, o ancora nel Burundi, dove rifacendosi agli “insegnamenti” proposti dal dado giocano ragazzi di etnie diverse in guerra tra loro.
Uno sport “controcorrente”
Il congresso si è snodato attraverso proposte culturali, presentazione di progetti ed il contributo di sportivi conosciuti come Gianni Rivera, da qualche mese presidente del Settore giovanile e scolastico della Federazione italiana giuoco calcio, secondo cui «bisogna insegnare ai ragazzi che ci sono delle regole, che i soldi non sono tutto, che nella vita conta il rispetto, la correttezza, che prima di essere sportivi occorre diventare cittadini». Molto sentito è stato in particolare il confronto tra i partecipanti avvenuto in diversi workshop guidati da esperti su vari temi legati al mondo dello sport: sport vissuto come gioco, come mezzo di integrazione per i disabili, come speranza per l’adolescenza, come strumento di educazione ad un agonismo positivo, come possibilità di sviluppo per la città anche attraverso l’organizzazione di eventi, come fonte di salute e benessere.
Uno sport che torni quindi alla sua vera essenza, slegato dagli interessi economici a cui è spesso ancorato, come dimostra la viva testimonianza di chi sogna e già realizza concretamente nel suo ambiente uno sport davvero “controcorrente”. Come Marco Calamai, giocatore e poi allenatore professionista di basket, che 16 anni fa ha lasciato la panchina di pallacanestro di “alta prestazione” per dedicarsi ad insegnare lo sport che ama alle persone con disabilità mentale. Come Carlo Bulleri, dirigente di una società sportiva pisana, che tra le altre cose insegna ai propri tesserati, allenatori e atleti, «a vedere negli arbitri un dono senza il quale non potrei giocare o fare il mio mestiere». O come Oreste Perri, atleta ed allenatore olimpico di canoa ed ora sindaco di Cremona, che ha vissuta l’attività sportiva ispirato dallo spirito di squadra e che oggi, nella sua nuova attività, cerca di trasferire lo stesso concetto «alla mia squadra in Comune, dove chiedo di sentirsi certamente legati ai partiti di appartenenza, ma poi di lavorare insieme per portare a casa il risultato nell’interesse della gente».
L’eredità del congresso
Alla fine, ognuno dei partecipanti ha preso maggior consapevolezza del fatto che ciascuno può fare la propria parte, piccola o grande che sia, per promuovere testimonianze positive di vita sportiva, ma soprattutto per contribuire a cambiare la società cambiando lo sport. Perché, come ha sintetizzato Maria Voce, presidente del Movimento dei focolari, «cambiare lo sport significa cambiare gli uomini, quelli che esercitano lo sport o quelli che comunque si interessano allo sport. E cambiare queste persone significa sicuramente cambiare la società, perché ogni persona attraverso il proprio comportamento diventa un potenziale artefice di cambiamento nella società in cui vive. Certo non sarà lo sport da solo a farlo, ma sicuramente anche lo sport può giocare un ruolo importante nel passaggio da una società fatta di competitività, arrivismo ed egoismi, ad una società fatta di relazioni, di rapporti che cercano di valorizzare il bene dove è e negli altri prima che in sé».
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