Ad un incontro internazionale dei Giovani per un Mondo Unito si è parlato della necessità di persone che aiutassero lo sviluppo di Fontem. In un video della cittadella passavano in sovrimpressione le professioni maggiormente richieste. Tra queste quella di meccanico per un’officina di vetture. Da molto tempo sentivo il desiderio di potermi rendere utile per aiutare gli altri. Finalmente il Progetto Africa me ne diede l’occasione. Chiara la conosco da quando sono nato, ma è stato fondamentale sentire nel video le testimonianze dei primi volontari che si recarono a Fontem per avviare il progetto. Loro misero in pratica l’invito di Chiara ad agire senza dire troppo parole. Io raccolsi il medesimo invito e partii.
Una scelta di questo genere comportava molte difficoltà, ad esempio quella del lavoro che svolgevo da 2 anni in un officina di autocarri che avrei dovuto lasciare, la lingua da imparare, lasciare tutte le comodità e naturalmente la famiglia e gli amici. Tutto questo fu superato dalla mia determinazione a partire e dagli amici che mi erano vicino; più persone furano sensibilizzate della mia partenza e inviarono beni che colmarono molte necessità.
La volontà di poter comunicare con gli altri mi ha spinto a buttarmi fuori esprimendomi a gesti e ad imparare la lingua abbastanza velocemente.
Come potete immaginare, un altro scoglio che arrivò ben presto, furono gli usi e costumi che non erano quelli europei: cambiare completamente alimentazione fu necessario ma duro come anche non sapere dove poter reperire alimenti o altre cose necessarie che furono superate grazie a Ghy, una persona del Movimento che mi aiutò ad integrarmi in questo contesto così lontano da me. Senza il suo aiuto la mia esperienza sarebbe finita ben presto e questo mi fece capire quanta importanza abbia la presenza di una persona capace di consigliare e fare accogliere il proprio disagio.
All’inizio non riuscivo a capire i loro modi di fare ma successivamente capii che dovevo perdere la mentalità europea per abbracciare quella africana. Questo passo mi ha permesso di completare l’anno al meglio.
Quanto alla mancanza di mezzi, potrei parlare per intere ore ma mi limito a raccontarvi questa esperienza che mi fece sentire parte integrante di quella popolazione.
Un pomeriggio mi chiamarono all'ospedale per un guasto ad una macchina. Andai come ogni volta a vedere ma mi accorsi che c’era qualcosa di anomalo e allarmante. Mi venne incontro l'anestesista che mi spiegò di corsa cosa stava succedendo in sala operatoria: da quello che capii, sembrava che la vita di un bambino fosse legata a me, ovvero alla riparazione della macchina per la respirazione che lo teneva in vita. La paura di un possibile fallimento e il peso di portarsi dentro la morte di un bambino fu opprimente. Dapprima rifiutai cercando scuse ma la sua insistenza alla fine mi fece desistere. Mi cambiai e mentre mi accingevo ad entrare in sala operatoria, il chirurgo uscì e non ebbi il coraggio di chiedergli quale fosse stato l’esito dell’operazione. E’ inutile aggiungere che temevo il peggio ma senza chiedergli niente mi disse che era andata bene. Una volta dentro, guardai il bimbo che si stava svegliando e chiesi all’anestesista come mai l’operazione era riuscita nonostante il polmone meccanico non funzionasse. Lui mi spiegò che usò il ventilatore manuale e così realizzai che la situazione non era irreparabile. Così con calma riparai il guasto.
Mentre tornavo a casa pensavo a quello che mi era accaduto e giunsi alla conclusione che l’Africa non mi chiedeva solo di dare la vita per gli altri ma chiedeva anche di accettare i fallimenti!!
Da quel giorno cercai di relativizzare i miei sforzi senza pensare ai successi. Per me era più importante voler bene alla persone a prescindere da tutto.
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