Di Patrizia Mazzola
Le ultime proposte
fatte dal Governo sulla Legge di
stabilità hanno suscitato reazioni in
tutto il mondo della scuola.
Purtroppo il dibattito nel Paese si ferma
sempre sulla professione docente
mentre le riforme scolastiche affrontano di rado una progettualità
“politica” del sistema educativo e
cioè “cos’è la scuola, a che serve,
che cittadino prepara” e così via.
La famiglia rimane sempre più
assente dalla scuola, delegando a
piene mani la formazione dei propri
ragazzi al sistema. I genitori
si fermano ben poco con i propri
figli: baby sitter, tv, tablet e
smartphone sopperiscono a tante carenze
relegando la genitorialità in un
angolo.
Sappiamo tutti quanto
sia indispensabile la collaborazione tra
scuola e famiglia, sono state
scritte pagine su pagine da esperti,
ma purtroppo tutto ciò rimane
sulla carta. In questi giorni sono
stati approvati centinaia di
documenti dai collegi dei docenti di moltissime scuole.
In tutti viene
riaffermata la dignità della professione
docente e la voglia di continuare
a scommettersi per un’Italia
migliore. Il web trabocca di lettere,
blog, proteste con qualche titolo
significativo: “Non sono un
facilitatore, vorrei essere un maestro”,
“Noi non siamo quelli delle 18
ore”, un movimento di docenti
appena nato. Sono stati programmati
scioperi, assemblee,
dimostrazioni pacifiche come quella di
correggere i compiti per strada. Le condizioni
della scuola italiana sono sotto gli occhi
di tutti. Stiamo ormai nel tunnel,
penso, da diversi anni e non si intravede
alcuna luce. Nel Convegno “La notte e l’alba”, promosso da “Educazione e
Unità”, insieme ad AMU e all’Università
di Padova, si è analizzata questa
notte culturale e pedagogica. Vi invito ad
approfondire questa tematica leggendo le
relazioni, che si trovano nel sito
www.eduforunity.org. Oggi è più che mai
necessario ridare senso all’azione
pedagogica, rimettendo in discussione la
funzione che oggi ha l’insegnante e la
mission della scuola. Fiorella
Farinelli – presidente del
Comitato Scientifico
della SSPAL (Scuola superiore
della Pubblica Amministrazione
Locale) – afferma che
il Paese cambia
mentre “la struttura organizzativa stessa della scuola e della docenza è rimasta sostanzialmente fedele alla tradizione:
i tempi, gli
spazi, le sequenze, la linearità di processi
cognitivi dal semplice al complesso,
la ripetitività dei contenuti, la
separazione tra astratto e concreto, la
marginalità dell’apprendimento in contesti laboratoriali e operativi e così via,
fino agli orari a scacchiera e alla disposizione
di cattedre e banchi. Nella scuola
italiana, soprattutto la secondaria superiore,
è difficile far decollare e rendere
stabile ogni pratica didattica che
guardi prima di tutto alle persone, alle
loro vocazioni e talenti effettivi, alle curiosità
e intelligenze di ciascuno”.
Alcune
immagini relative al progetto “Una
scuola per Bambaren”: Maria Pia
con i bambini e la scuola in via di
ristrutturazione. E’
forse il tempo di uscire dal tunnel,
di passare dalla notte al giorno:
“Noi
crediamo che, prima della
crisi economica, ci sia la crisi dell’educazione,
con tante questioni di fondo
– che nascono da lontano – alle quali
non si sono date risposte pertinenti”,
si
diceva nel convegno di Padova. Guardare in faccia la
“scuola” oggi vuol dire far sì che “insieme”
si possa
decidere il futuro del Paese. Ciascuno faccia la
sua parte. Non è questione di ore.
Interroghiamoci tutti, docenti e politici,
quale scuola vogliamo, quali
cittadini usciranno dalle nostre scuole e
se essere insegnante sia
soltanto un mestiere.
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