Di Roberto Catalano
Fonte: Città Nuova
Il Mahatma, la “Grande anima”,
continua ad essere fonte d’ispirazione per le giovani generazioni che hanno
fatto proprio il motto "Be the change": ciascuno dovrebbe essere quel
cambiamento che vorrebbe vedere negli altri ed attorno a sé. Intervista a Vinu
Aram, direttrice dello Shanti Ashram di Coimbatore
La dottoressa Vinu Aram,
direttrice dello Shanti Ashram di Coimbatore (Tamil Nadu – India) è attiva da
anni nell’ambito del dialogo interreligioso. Figlia di un noto pacifista
gandhiano, il Dr. Aram, prematuramente scomparso nel 1997, per decenni
impegnato in processi di pace nel Nord-Est dell’India, oltre che accademico
riconosciuto ed apprezzato e presidente della Conferenza mondiale per le
religioni e la pace (WCRP oggi Religioni per la pace), la dottoressa Vinu Aram
è fin dagli anni della sua giovinezza impegnata nel dialogo interreligioso. Si
tratta di un coinvolgimento sia a livello locale, attraverso lo Shanti Ashram
che dirige da anni sotto la presidenza attenta e lungimirante della madre, la
sig.ra Minoti Aram, sia a livello internazionale, dove è membro di istituzioni
e conferenze.
Conoscendo il suo impegno e
quello dello Shanti Ashram nel comunicare e trasmettere gli ideali gandhiani le
abbiamo rivolto alcune domande, durante una sua recente visita a Roma,
soprattutto su come si coniuga la figura di Gandhi con l’India di oggi, potenza
economica mondiale ormai affermata e riconosciuta, ma caratterizzata ancora da
profonde contraddizioni locali.
Qual è l’immagine
dell’India che Le piace proporre al mondo che la guarda?
«Senza dubbio è la popolazione
giovane. Oggi, pensare al nostro Paese, infatti, significa pensare ad una
nazione giovane. La popolazione sotto i trent’anni è circa il 50 per cento di
quella totale (che ha ormai da tempo sfondato la soglia del miliardo).
Viaggiando per il mondo quando si parla dell’India e, soprattutto dei giovani
indiani, ci si riferisce a quanto essi fanno nel settore della finanza,
dell’economia e della tecnologia informatica. In questi campi gli indiani, e
particolarmente i nostri giovani, sono ormai affermati a livello mondiale».
Giovani, dunque, pienamente
inseriti nei circuiti della globalizzazione. È tutto?
«Assolutamente no! Ci sono
altri due livelli che vorrei mettere in evidenza, in cui i giovani indiani si
stanno impegnando e nei quali stanno emergendo. Li potrei definire come due
‘spazi’: uno sociale e l’altro politico».
Potrebbe spiegare
meglio a cosa si riferisce?
«I giovani in India si trovano
in un processo di ricerca della propria identità sia a contatto con il mondo
esterno (e qui economia e media o informatica hanno un ruolo fondamentale) sia
in una ricerca interiore che possa condurli a risposte decisive su questioni
fondamentali: chi sono? Dove vado?
Inoltre, molti giovani si
sentono impegnati a trovare modalità perché quanto essi hanno ricevuto dalla
comunità (la famiglia, la città, l’ambito educativo) possa avere una ricaduta
come un proprio contributo civile. È su questo duplice percorso che si
incontrano con Gandhi, che costituisce un modello di come vivere la compassione
e di come arricchire l’ambiente attorno a noi. Non sono, quindi, soddisfatti di
quanto tecnologia e globalizzazione posso dare, ma intuiscono che il valore della
compassione e della cura degli altri rappresenta un attributo importante per la
loro identità».
Gandhi quindi è
ancora rilevante oggi?
«Senza dubbio! È, per esempio,
fonte d’ispirazione per giovani che si stanno impegnando in quella che potrei
definire ‘cittadinanza attiva’. Molti gruppi giovanili lanciano iniziative sul
territorio ed è molto interessante notare che uno dei motti preferiti è: be the
change. Si tratta di uno dei leit-motif del Mahatma che amava ripetere che
ciascuno dovrebbe essere quel cambiamento che vorrebbe vedere negli altri ed
attorno a sé».
Esiste una ricaduta
politica?
«Indubbiamente, l’impegno si
allarga dal sociale al politico, come dimostra, per esempio, l’impegno che
molti giovani hanno mostrato nella campagna anti-corruzione lanciata da Anna
Hazare, il pacifista e attivista sociale da tempo impegnato contro la
corruzione della società indiana e soprattutto della classe politica. Ma non
solo. In occasione delle ultime consultazioni elettorali, sia politiche che
amministrative, si è notata una inversione di tendenza verso l’alto della
partecipazione al voto. Si è toccato il 70 per cento e questo per merito,
soprattutto, dei giovani, che sono intervenuti nel dibattito elettorale sia a
livello nazionale che locale».
Ultimamente si è parlato
molto delle manifestazioni in tutta l’India contro la violenza sulla donna.
Cosa può dirci in merito?
«Questa della dignità della
donna è la seconda grande battaglia, dopo la corruzione, che stiamo
combattendo. Per la prima volta sono stata testimone di uomini e donne che si
sono rifiutati di riconoscere di appartenere ad una società in cui si compiono
certi atti di violenza sulle donne. In particolare, proprio i giovani si sono
ribellati. A Coimbatore, per esempio, la città in cui vivo ed in cui opera lo
Shanti Ashram, abbiamo avuto una grande manifestazione contro la violenza
perpetrata sulla donna. L’80 per cento dei manifestanti era rappresentato da
ragazzi».
Come si rapportano
questi giovani con Gandhi?
«Leggono le sue opere o quanto
scritto su di lui, visitano i centri gandhiani come quello in cui operiamo noi
o quelli legati alla sua vicenda storica e personale, ma soprattutto mi pare
cerchino aspetti nei quali possano trovare dei valori veri».
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