Giovanni Vecchio
Fonte: Città Nuova
La presenza di migranti provenienti dal Corno d'Africa e
dalla Siria interroga sulle scelte rischiose di queste persone in fuga dalla
guerra e suscita al contempo una mobilitazione silenziosa e attiva dentro la
città. I volontari diventano la vera risorsa delle emergenze e suscitano la
solidarietà in amici e colleghi
Profughi eritrei sbarcati in Italia
Lo raccontano le cronache cittadine, lo denunciano i continui
appelli del Comune, se ne accorgono i passanti che escono all’ora
dell’aperitivo: da qualche settimana Milano è diventata la tappa di viaggio dei
molti migranti in arrivo da tutto il Mediterraneo. I giornali raccontano, quasi
quotidianamente, l’emergenza di quanti, provenienti dalla Siria, hanno
trascorso le loro notti nella stazione centrale; ma non sono i soli.
Dall’inizio di maggio, anche 900 profughi eritrei sono arrivati in città. Molti
si sono ritrovati nella zona di Porta Venezia, quartiere che ospita una storica
presenza di comunità del Corno d’Africa; ed è intorno alla chiesa del
Lazzaretto che ogni sera si ritrovano tra i 50 e i 200. La vicenda degli
eritrei finora è rimasta in sordina, eppure tocca molte vite e solleva
altrettanti interrogativi. Cosa raccontare di questi profughi rimasti, anche
per loro stessa volontà, nell’ombra?
Si potrebbero raccontare le loro storie. Sono quasi
provenienti dall'Eritrea, in fuga da una dittatura assurda che vieta senza
ragione di attraversare i confini nazionali. Con qualche timida domanda,
aiutati anche dai ragazzi di seconda generazione dall'accento milanese, si
aprono spiragli sulle storie più diverse che hanno fatto della stazione la loro
casa. Dawit, mentre continua a ringraziare per il cibo ricevuto, racconta di
come si sia salvato dal naufragio di Lampedusa dello scorso 3 ottobre, dopo
aver lasciato a Cheren un negozio, una ragazza e tanti fratelli più piccoli.
Hamid invece, forte dei suoi vent'anni, ha viaggiato a piedi, per mesi, tra
Asia ed Europa, sfuggendo ai controlli di frontiera e al freddo dell'inverno
balcanico. Ora ha negli occhi l'Inghilterra, e la possibilità di studiare -
quasi non gli importa cosa - perchè chi studia ha futuro. Zeudi, ancora segnata
dalla traversata del deserto libico, resta in disparte, spaventata che la
polizia possa identificarla ed impedirle di raggiungere Oslo e la sorella
Selam. Per tutti loro, Milano è solo una tappa di un viaggio più lungo verso il
Nord Europa, verso un’accoglienza forse più dignitosa della nostra e verso
parenti e amici che lì hanno ritrovato una vera vita.
La storia parallela a queste tragedie è quella di una
mobilitazione sotterranea della città per la presenza, sempre rimasta in
secondo piano, dei volontari e di chi rende l'accoglienza e l'arrivo nella
metropoli meno traumatico. Sono state soprattutto le associazioni, come
l'Associazione Arcobaleno, a prendersi carico dei primi aiuti ai profughi
siriani ed eritrei. Ogni sera, piccoli gruppi di volontari hanno accompagnato
un numero ridotto di stranieri nei dormitori comunali disponibili, mentre cibo
e vestiario reperiti grazie a raccolte straordinarie venivano distribuiti tra
quanti avrebbero trascorso la notte all’aperto. In tutto questo, il Comune ha
messo a disposizione alcune strutture ma ha denunciato i mancati aiuti da parte
di altre istituzioni.
Tanti sono i piccoli episodi di questa mobilitazione
cittadina silenziosa e contagiosa, in grado di coinvolgere tante persone,
ordinariamente lontane dall’impegno nel sociale. Ogni volontario racconta una
storia diversa. Sara parla della collega che, origliando una telefonata,
allunga – senza che le fosse chiesto nulla – due buoni pasto per comprare
qualcosa. Luca, appena diventato papà, per sbaglio ha lasciato in macchina due
giocattoli: due, come i bambini che si trova ad accompagnare al dormitorio e
che potranno continuare il loro viaggio un po’ meno soli e in compagnia di
questi giochi. Francesco ha portato un compagno di basket, che per la prima
volta si lancia e comincia a condividere le impressioni dell’incontro con gli
eritrei. Silvia, venuta a conoscenza di queste storie disperate, ha convinto il
suo ufficio a raccogliere aiuti.
L’impegno di giovani e adulti, anche vicini ai Focolari,
attivi nella raccolta e distribuzione di aiuti, non ha soltanto portato
assistenza, ma è riuscito a generare forme ed esperienze di condivisione
molteplici. Le esperienze di ciascuno sono piccoli segni, che forse si perdono
nella grandezza del problema che affrontano, nell’inadeguatezza delle risposte,
nell’incertezza su cosa accadrà a questi profughi, per qualche giorno nostri
concittadini e perché no, anche amici.
Il Comune di Milano ha deciso di convocare un tavolo di
lavoro dedicato alla presenza eritrea, ma non ha ancora predisposto
un’accoglienza efficace per tutti. Resta ancora incerto come continuerà questo
transito invisibile. Una sera, dopo la consegna degli aiuti, tra i volontari si parlava del futuro di
questi ragazzi e qualcuno commentava che forse mancava anche il presente.
Forse, l’unica certezza – in quella sera, e in tutte le altre sere che seguono
– sono proprio i gesti spontanei di aiuto, gli unici a rendere differente
l’ennesima tappa di un viaggio che continua senza concludersi.
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