Fonte: il Referendum
di Vanessa Pesarini
La storia di Thoby e di una comunità
Il carcere è stata una delle tematiche al centro
dell’evento C. Attiva Verona, organizzato dai Giovani per un Mondo Unito e
promosso dall’Associazione Mondo Unito Onlus, lo scorso 18 settembre nel parco
di Villa Buri. In quattro serate, dal 18 al 21, sono stati affrontati anche
altri temi come il gioco d’azzardo e la multiculturalità. Non siamo molto abituati a sentire parlare di carcere, perchè?
Come ha ricordato Roberto Sandrini, socio
dell’associazione La Fraternità che da anni si occupa di carcere in tutte le
sue forme, la prigione è qualcosa che si vuole tenere nascosto dal resto della
società, tanto nell’informazione quanto fisicamente. Il carcere di Montorio ad
esempio, come tutte le altre carceri sparse per l’Italia, è stato appositamente
costruito fuori dalle mura di Verona, con lo scopo di tenere lontana la
cittadinanza. “Lontano dagli occhi, lontano dal cuore”.
Il carcere di Montorio
Nonostante si tratti di un tema duro, non c’era un posto
vuoto durante la conferenza. Con grande attenzione i partecipanti hanno
assistito ad uno sketch teatrale ispirato al “Carcerato” di Alessandro
Mannarino e al momento di Thoby, ex detenuto che ha mostrato i quadri dipinti
durante il suo periodo di detenzione. Con le sue immagini dense di significato
Thoby è riuscito a trasmettere perfettamente la vita in carcere: dal motivo per
cui si entra (spesso la mancanza di cultura o una cattiva cultura) a quello che
pesa di più dietro le sbarre, come la solitudine e i tentati suicidi a cui,
purtroppo, si è costretti ad assistere.
I dati sui suicidi
Come riporta l’associazione La Fraternità, rispetto alla
presenza media di detenuti durante l’anno, nel 2013 il tasso di suicidi è stato
di quasi 8 ogni 10.000. Se consideriamo che tra tutta la popolazione italiana
il tasso di suicidi si aggira attorno allo 0,5 per 10.000 abitanti, le persone
in carcere si suicidano 15 volte di più che in libertà.
«Il carcere è una cosa bruttissima, però quando si esce è
ancora peggio», ha raccontato Thoby. «Prima di entrare si è una persona, quando
si entra in carcere si sparisce, non c’è nessuna personalità, si diventa
trasparente. Poi, grazie ad un percorso che si fa per uscire e ad un altro
percorso di reinserimento una volta usciti, ognuno cerca di ricostruire se
stesso».
Uscire dal carcere non è facile, la percentuale di
reiterazione del reato nelle persone che escono dalla detenzione è infatti
molto alta. Questo fa riflettere su come
l’obiettivo della carcerazione, quello di rieducare la persona, spesso
fallisca. «È come se in un ospedale dimettessero una persona che è ancora
malata», commenta Sandrini.
Per la rieducazione di Thoby è stato fondamentale l’aiuto
dell’associazione La Fraternità, sia per l’ascolto che ha ricevuto dai
volontari e da Fra Beppe, fondatore dell’associazione, sia per le proposte in
cui è stato coinvolto: da anni, infatti, l’associazione si fa promotrice di
diversi progetti che coinvolgono detenuti, ex detenuti e famigliari. I progetti
interni al carcere comprendono corsi scolastici, arte educativa e gruppi affettività
per aiutare il detenuto nelle relazioni con i familiari.
Questi progetti, non solo hanno lo scopo di migliorare il
periodo di detenzione offrendo la possibilità ai detenuti di passare il tempo
in modo produttivo, dando loro la possibilità di studiare e di conseguire
titoli di studio, ma cercano anche di attuare quello che prevede l’articolo 27
della Costituzione, ovvero la funzione rieducativa della pena.
È necessario pensare alla persona che commette il reato, ma bisogna anche
chiedersi: cosa succede a chi il reato lo subisce?
L’Italia considera ancora poco questa figura ma a Verona
è stata creata l’associazione ASAV che si occupa di fornire assistenza alle
vittime di reato, al fine di favorire la riconciliazione tra queste ultime
e il reo.
La riconciliazione infatti non solo è benefica ma è anche
possibile, come ha testimoniato la video-esperienza di una donna, moglie di un
carabiniere ucciso da un ragazzo a cui era stata ritirata la patente perché
risultato positivo all’alcol test, e la madre di questo ragazzo, condannato all’ergastolo.
Dopo un percorso estremamente difficile le due donne si sono unite per fondare
un’associazione al fine di aiutare la riconciliazione, di cui loro sono
l’esempio più forte.
A provare che il carcere è sì lontano dagli occhi ma non
sempre dal cuore, sono stati gli interventi dei partecipanti della serata, che
con domande e riflessioni hanno dimostrato interesse da parte dei cittadini a
saperne di più e ad abbattere la credenza comune in base alla quale i buoni
stanno fuori e i cattivi dentro.
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