Scritto da Silvano Malini
Primo congresso EdC in Paraguay. L’imprenditore al
centro.
Giovani e adulti sorridenti, atmosfera rilassante,
scherzi… niente giacche nè cravatte… Va bene che oggi le riunioni di
imprenditori tendono ad essere meno formali, ma… mi sarò sbagliato? Non può
essere questo il congresso di Economia di Comunione! Invece sì. Carolina
Peralta, della commissione organizzatrice, spiega che non si tratta di
assistere a lezioni magistrali ma di condividere le esperienze della vita
aziendale. Si tratta di un “incontro di
comunione nell’economia” sintetizza Andrés, da Buenos Aires.
Sono 120 imprenditori, fra imprenditori,
dirigenti, lavoratori e studenti dal Paraguay e dall’ Argentina radunati al
Centro Mariapoli “María, madre dell’umanità” di Surubi-i, nei pressi di Mariano
Roque Alonso (Paraguay). Un numero
notevole se si pensa che nel 2011 solo 4 persone praticavano EdC in Paraguay.
La giovane argentina Carolina Carbonell descrive in poche
parole i sentimenti di molti dei partecipanti: “Percorrere centinaia di
chilometri impiegando molte ore per per un momento piacevole con gli amici (e
con vecchi amici ancora da conoscere) può sembrare una pazzia. La risposta è
che questo solo si fa quando si insegue un sogno, una chiamata, una
vocazione...”. “Di questo ci hanno parlato il prof. Luigino Bruni della
Commissione Internazionale, in collegamento skype da Roma, e l’imprenditore
Germán Jorge”.
Vocazione…
“L’imprenditore EdC sceglie la povertà”, dice il prof. Bruni. Vuol dire
che non ci sarà mai un’imprenditore EdC ricco? Germán Jorge, di Paraná (Entre
Ríos, Argentina), proprietario e direttore di una azienda di distribuzione di
materiali per la costruzione con 60 dipendenti, risponde: “All’imprenditore EdC fa male la
povertà. Altrimenti non è un’imprenditore EdC. Non è immune ad essa, ma
l’abbraccia. Un modo di abbracciarla è portandola all’interno della azienda”.
Jorge racconta che quando doveva cambiare auto e sua moglie gli chiese di
comprare un minivan perché i bisogni familiari erano aumentati, lui si
rifiutava perché gli sembrava troppo lussuosa. Poi si adattò, un po’ perché ce
n’era bisogno e un po’ perché “l’importante non è non avere dei beni, ma
piuttosto usarli bene: non dipendere da essi, ma farli diventare strumenti a
servizio della comunione”.
D’altra parte è bene dimostrare che si può essere
imprenditori di successo pur abbracciando questo stile di vita. Lo conferma
l’argentino Ramón Cerviño, imprenditore nel campo della salute. Cerviño ricorda
le parole di Maria Voce, presidente dei Focolari, che vedeva la differenza tra
questi imprenditori e gli altri sopratutto nel scegliere la comunione come
stile di vita, scoprendo, accettando e scegliendo la diversità dell’altro, ciò
che lo fa diverso.
Un ricco scambio sulla “vocazione” dell’imprenditore EdC
ha motivato assolutamente tutti, e li ha convinti del fatto di dover essere
catalizzatori di comunione, dentro e fuori l’azienda. “Dobbiamo essere persone
di comunione che vivono per la sua comunità”, sottolinea Germán Jorge nel suo
intervento. E ricorda una metafora di Enrique Shaw, imprenditore argentino per
il quale è in corso il processo di beatificazione: “La sentinella non è in alto
per apprezzare il paesaggio, ma per prendersi cura della città”.
“Nell’economia capitalista”, riflette Germán,
“l’obiettivo dell’azienda è generare ricchezza. Nel nostro caso generare
ricchezza è un segnale che dice che le cose vanno bene, ma non è il fine. Il
fine è la comunione e il processo stesso è comunione: ci generiamo come persone
facendo azienda. E l’azienda in questo modo non è una macchina per fare soldi,
ma una comunità di persone”..
Le commoventi vicende di una parrucchiera, di una
negoziante e di una venditrice ambulante che hanno creato micro-imprese assieme
alle loro famiglie, sono esempi stimolanti di lavoro e tenacia. Si tratta di
uno dei frutti del “sistema EdC”: una parte degli utili delle aziende va
destinato a generare lavoro attraverso il sostegno a micro-imprenditori. Ed
essi, a loro volta, agiscono nella logica della comunione.
Nel Paraguay, ed in tutto il Sudamerica, la comunione è
culturalmente innata. Viene da culture ancestrali, come quella guaraní. Questi
indigeni abitavano (lo fanno ancora, ma ora sono pochi…) il Paraguay, una parte
dell’Argentina, il Brasile e l’Uruguay. Amministravano le risorse in comunità.
Come abbiamo scoperto accompagnati dalla storica Diana Durán, autrice di un
libro che sarà pubblicato prossimamente, i guaraní sceglievano come leader la
persona più generosa; era facile distinguerla: normalmente era quella vestita
peggio perché donava quello che aveva all’altro più bisognoso. Lo studio della
Durán su “Reciprocità ed economía nella preistoria e nella storia coloniale”,
dimostra che gli indigeni praticavano naturalmente l’amore reciproco e che la
cultura europea ha arricchito la cultura guaraní col pensiero del
cristianesimo. In certo senso, come scriveva il grande guaranologo Bartomeu
Meliá, “l’America non fu scoperta, ma coperta”.
Molto toccati per la calorosa accoglienza paraguaiana, i
partecipanti partono pieni di entusiasmo e coraggio ad inseguire il sogno di
un’economia più umana e generatrice di fraternità. Questi imprenditori tornano
alla attività quotidiana più forti nelle loro convinzioni. “Sono persone
normali nel mondo, ma guardano tutto dall’ottica di Dio”, afferma Mauxi
Caballero, studente di Amministrazione Aziendale di Asunción. “Così creano un
mondo diverso”, conclude.
Sì. Un mondo più bello e prospero per tutti. Dove viene
la voglia di abitare..
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