sabato 20 settembre 2014

Pionieri di una utopia

Scritto da Silvano Malini
Primo congresso EdC in Paraguay. L’imprenditore al centro.
Giovani e adulti sorridenti, atmosfera rilassante, scherzi… niente giacche nè cravatte… Va bene che oggi le riunioni di imprenditori tendono ad essere meno formali, ma… mi sarò sbagliato? Non può essere questo il congresso di Economia di Comunione! Invece sì. Carolina Peralta, della commissione organizzatrice, spiega che non si tratta di assistere a lezioni magistrali ma di condividere le esperienze della vita aziendale. Si tratta di un “incontro di comunione nell’economia” sintetizza Andrés, da Buenos Aires.
Sono 120 imprenditori, fra imprenditori, dirigenti, lavoratori e studenti dal Paraguay e dall’ Argentina radunati al Centro Mariapoli “María, madre dell’umanità” di Surubi-i, nei pressi di Mariano Roque Alonso (Paraguay). Un numero notevole se si pensa che nel 2011 solo 4 persone praticavano EdC in Paraguay.
La giovane argentina Carolina Carbonell descrive in poche parole i sentimenti di molti dei partecipanti: “Percorrere centinaia di chilometri impiegando molte ore per per un momento piacevole con gli amici (e con vecchi amici ancora da conoscere) può sembrare una pazzia. La risposta è che questo solo si fa quando si insegue un sogno, una chiamata, una vocazione...”. “Di questo ci hanno parlato il prof. Luigino Bruni della Commissione Internazionale, in collegamento skype da Roma, e l’imprenditore Germán Jorge”.
Vocazione…  “L’imprenditore EdC sceglie la povertà”, dice il prof. Bruni. Vuol dire che non ci sarà mai un’imprenditore EdC ricco? Germán Jorge, di Paraná (Entre Ríos, Argentina), proprietario e direttore di una azienda di distribuzione di materiali per la costruzione con 60 dipendenti, risponde: “All’imprenditore EdC fa male la povertà. Altrimenti non è un’imprenditore EdC. Non è immune ad essa, ma l’abbraccia. Un modo di abbracciarla è portandola all’interno della azienda”. Jorge racconta che quando doveva cambiare auto e sua moglie gli chiese di comprare un minivan perché i bisogni familiari erano aumentati, lui si rifiutava perché gli sembrava troppo lussuosa. Poi si adattò, un po’ perché ce n’era bisogno e un po’ perché “l’importante non è non avere dei beni, ma piuttosto usarli bene: non dipendere da essi, ma farli diventare strumenti a servizio della comunione”.
D’altra parte è bene dimostrare che si può essere imprenditori di successo pur abbracciando questo stile di vita. Lo conferma l’argentino Ramón Cerviño, imprenditore nel campo della salute. Cerviño ricorda le parole di Maria Voce, presidente dei Focolari, che vedeva la differenza tra questi imprenditori e gli altri sopratutto nel scegliere la comunione come stile di vita, scoprendo, accettando e scegliendo la diversità dell’altro, ciò che lo fa diverso.
Un ricco scambio sulla “vocazione” dell’imprenditore EdC ha motivato assolutamente tutti, e li ha convinti del fatto di dover essere catalizzatori di comunione, dentro e fuori l’azienda. “Dobbiamo essere persone di comunione che vivono per la sua comunità”, sottolinea Germán Jorge nel suo intervento. E ricorda una metafora di Enrique Shaw, imprenditore argentino per il quale è in corso il processo di beatificazione: “La sentinella non è in alto per apprezzare il paesaggio, ma per prendersi cura della città”.
“Nell’economia capitalista”, riflette Germán, “l’obiettivo dell’azienda è generare ricchezza. Nel nostro caso generare ricchezza è un segnale che dice che le cose vanno bene, ma non è il fine. Il fine è la comunione e il processo stesso è comunione: ci generiamo come persone facendo azienda. E l’azienda in questo modo non è una macchina per fare soldi, ma una comunità di persone”..
Le commoventi vicende di una parrucchiera, di una negoziante e di una venditrice ambulante che hanno creato micro-imprese assieme alle loro famiglie, sono esempi stimolanti di lavoro e tenacia. Si tratta di uno dei frutti del “sistema EdC”: una parte degli utili delle aziende va destinato a generare lavoro attraverso il sostegno a micro-imprenditori. Ed essi, a loro volta, agiscono nella logica della comunione.
Nel Paraguay, ed in tutto il Sudamerica, la comunione è culturalmente innata. Viene da culture ancestrali, come quella guaraní. Questi indigeni abitavano (lo fanno ancora, ma ora sono pochi…) il Paraguay, una parte dell’Argentina, il Brasile e l’Uruguay. Amministravano le risorse in comunità. Come abbiamo scoperto accompagnati dalla storica Diana Durán, autrice di un libro che sarà pubblicato prossimamente, i guaraní sceglievano come leader la persona più generosa; era facile distinguerla: normalmente era quella vestita peggio perché donava quello che aveva all’altro più bisognoso. Lo studio della Durán su “Reciprocità ed economía nella preistoria e nella storia coloniale”, dimostra che gli indigeni praticavano naturalmente l’amore reciproco e che la cultura europea ha arricchito la cultura guaraní col pensiero del cristianesimo. In certo senso, come scriveva il grande guaranologo Bartomeu Meliá, “l’America non fu scoperta, ma coperta”.
Molto toccati per la calorosa accoglienza paraguaiana, i partecipanti partono pieni di entusiasmo e coraggio ad inseguire il sogno di un’economia più umana e generatrice di fraternità. Questi imprenditori tornano alla attività quotidiana più forti nelle loro convinzioni. “Sono persone normali nel mondo, ma guardano tutto dall’ottica di Dio”, afferma Mauxi Caballero, studente di Amministrazione Aziendale di Asunción. “Così creano un mondo diverso”, conclude.

Sì. Un mondo più bello e prospero per tutti. Dove viene la voglia di abitare..

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