domenica 30 novembre 2014

Operazione Colomba

“Operazione Colomba” e l’azione di riconciliazione e pace in Kossovo, Palestina e Israele e Nord Uganda.
Di Mariagrazia Baroni
È l’attualizzazione nel XX secolo di una delle beatitudini evangeliche dell’essere “operatori di pace” declinato nei termini di peace-making, peace-keeping e peace-building. È la storia alternativa dei movimenti civili non violenti che negli anni ’90 hanno iniziato a ridisegnare una mappa parallela a quella dei conflitti nel mondo. Ed è anche la storia di “Operazione Colomba”: il corpo non violento di pace nato nel 1992 dall’associazione Comunità papa Giovanni XXIII di don Oreste Benzi e raccontata da Giulia Zurlini Panza in “Dalla guerra alla riconciliazione”  per il Centro Gandhi edizioni. Il sacerdote di  Forlì fu  tra i primi ad accogliere nella sua comunità i giovani obiettori di coscienza che avevano ottenuto riconoscimento legislativo.

Nel 1992 un gruppo di giovani scelse di entrare in Croazia come civili per vivere a  fianco delle vittime di guerra; proteggere i gruppi di minoranza; creare spazi di pace per riunire le numerose famiglie divise e generare gruppi di convivenza pacifica. «La guerra nella ex-Jugoslavia  ci ha messo di fronte alla domanda: quale concretezza dare al cammino fatto sul tema dell’obiezione di coscienza e allo studio teorico sulla difesa popolare nonviolenta?» racconta Antonio.
Kosovo – Poi nel ’99 arriva l’impegno in Kossovo. “Operazione Colomba” riceve delle richieste di contatti in loco. Tra i volontari c’è Daniele, deve ancora assolvere al dovere di “difesa della patria”, ma chiede al distretto militare se può andare a Timor Est in missione civile. Nell’attesa di una risposta, Daniele, scrive al distretto: “A Timor Est c’è una situazione di emergenza. Parto subito, mi autodenuncio, consapevole di tutto quanto ne conseguirà”. Mai nessun congedo arriverà per col-pa di quel gesto, ma il fatto di arrivare prima dell’esercito italiano ha permesso a Daniele e agli altri, di denunciar gli interessi che stavano dietro alla presenza militare italiana in Kossovo. Ad oggi in sono reali gli spazi di dialogo creati in Kossovo grazie all’adozione completa dell’approccio costruttivo di gestione del conflitto fatta insieme alla popolazione locale, in rispetto delle tempistiche e in un rapporto paritario.
Colombia – Nelle regioni di Antioquia e di Cordoba, ricche di risorse naturali e di attrattiva per i traffici illeciti verso il canale di Panama, la popolazione civile è nella morsa delle guerra tra FARC e paramilitari. Nel 1997 è nata la Comunità di Pace di San José de Apartadò che si impegna a non prender parte al conflitto armato. Ed è dal 2009 che i volontari di “Operazione Colomba” effettuano diverse attività nella zona condividendo con la popolazione locale le condizioni di  povertà e di rischio, e contribuendo alla riduzione della violenza e dello sfollamento forzato attraverso l’accompagnamento non armato dei profughi, dei leader e  dei membri della comunità.
Albania – Dal 2010 “Operazione colomba” è pre-sente a Scutari per sostenere la missione della comunità Giovanni  Paolo  XXIII sul fenomeno delle “vendette di sangue”. Secondo l’antico  codice civile medievale del Kanun, per cui l’onore perduto o l’omicidio vanno pagati con la vita, ancor oggi sono molte le faide familiari che vedono coinvolti i minori costretti a portare avanti la vendetta o a rimanere segregati in casa per paura di subirla. I volontari di “Operazione Colomba”, insieme ad altri, sostengono le persone recluse e preparano alla costituzione di percorsi di riconcilia-zione.
Nord Uganda – Nel conflitto che ha colpito la popolazione civile dell’etnia Acholi, vittima dell’esercito dei ribelli e dell’Esercito nazionale, “Operazione Colomba” ha aperto una presenza stabile a Minakulu fino al 2008 per permettere ai civili di ricostruire il tessuto sociale: «In questo modo riuscivano a non essere più le vittime del campo profughi, ma a trasformarsi in persone reattive e consapevoli delle proprie decisioni» racconta Francesca, una dei volontari.
A queste si aggiungono molte altre azioni, come nelle zone in Chiapas, Messico, o Ceceni, ma anche in Italia, a Castel Volturno quando attorno al tema delle migrazioni si sono aperte situazioni di emergenza e alta è stata la tensione sociale.

Cisgiordania – E ancora  un altro capitolo importante della storia di “Operazione colomba” si  svolge a pochi km dalla linea verde di confine con Israele, dove la popolazione del villaggio palestinese di At-Tuwani ha fatto la propria scelta. Convinta che le conseguenze negative, dovute all’utilizzo della lotta nonviolenta, siano nettamente inferiori agli effetti distruttivi della lotta armata, negli anni ’90 si è riunita in un Comitato popolare di resistenza non violenta delle colline a sud di Hebron attraverso l’appoggio delle organizzazioni pacifiste israeliane e israelo-palestinesi, ma anche internazionali tra le quali, dal 2004, “Operazione Colomba” in qualità di parte esterna al conflitto col compito di segnalare e denunciare le violazioni dei diritti umani.  Ciò garantisce un’importante forma di deterrenza alle aggressioni da parte dei coloni e dell’esercito d’Israele. Ecco allora sit –in, marce, la non collaborazione, incontri tra le parti, advocacy e networking con organizzazioni pacifiste internazionali e il modo in cui israeliani e palestinesi spesso realizzano i propri interventi fianco a fianco e la popolazione palestinese locale. Federica, una dei volontari di “Operazione Colomba” racconta: «Un giorno, durante una manifestazione dei bambini per i loro diritti, una mia compagna è stata arrestata. Per me è stato un duro colpo, ma allo stesso tempo mi ha risollevato vedere le facce dei bambini che sono riusciti a marcare nonostante tutto». È il modo nuovo di vedere il conflitto, abitandolo, poiché, come ha sottolineato il portavoce del Comitato Hafez Huraini: «Se scegli la violenza sei solo; se scegli la nonviolenza hai bisogno della solidarietà degli altri».

Nessun commento:

Posta un commento