“Operazione Colomba” e l’azione di riconciliazione e pace
in Kossovo, Palestina e Israele e Nord Uganda.
Di Mariagrazia Baroni
È l’attualizzazione nel XX secolo di una delle
beatitudini evangeliche dell’essere “operatori di pace” declinato nei termini
di peace-making, peace-keeping e peace-building. È la storia alternativa dei movimenti civili non
violenti che negli anni ’90 hanno iniziato a ridisegnare una mappa parallela a
quella dei conflitti nel mondo. Ed è anche la storia di “Operazione Colomba”:
il corpo non violento di pace nato nel 1992 dall’associazione Comunità papa
Giovanni XXIII di don Oreste Benzi e raccontata da Giulia Zurlini Panza in
“Dalla guerra alla riconciliazione” per
il Centro Gandhi edizioni. Il sacerdote di Forlì fu
tra i primi ad accogliere nella sua comunità i giovani obiettori di
coscienza che avevano ottenuto riconoscimento legislativo.
Nel 1992 un gruppo di giovani scelse di entrare in
Croazia come civili per vivere a fianco
delle vittime di guerra; proteggere i gruppi di minoranza; creare spazi di pace
per riunire le numerose famiglie divise e generare gruppi di convivenza
pacifica. «La guerra nella ex-Jugoslavia
ci ha messo di fronte alla domanda: quale concretezza dare al cammino
fatto sul tema dell’obiezione di coscienza e allo studio teorico sulla difesa
popolare nonviolenta?» racconta Antonio.
Kosovo – Poi nel ’99 arriva l’impegno
in Kossovo. “Operazione Colomba” riceve delle richieste di contatti in loco.
Tra i volontari c’è Daniele, deve ancora assolvere al dovere di “difesa della
patria”, ma chiede al distretto militare se può andare a Timor Est in missione
civile. Nell’attesa di una risposta, Daniele, scrive al distretto: “A Timor Est
c’è una situazione di emergenza. Parto subito, mi autodenuncio, consapevole di
tutto quanto ne conseguirà”. Mai nessun congedo arriverà per col-pa di quel
gesto, ma il fatto di arrivare prima dell’esercito italiano ha permesso a
Daniele e agli altri, di denunciar gli interessi che stavano dietro alla
presenza militare italiana in Kossovo. Ad oggi in sono reali gli spazi di
dialogo creati in Kossovo grazie all’adozione completa dell’approccio
costruttivo di gestione del conflitto fatta insieme alla popolazione locale, in
rispetto delle tempistiche e in un rapporto paritario.
Colombia – Nelle regioni di Antioquia e
di Cordoba, ricche di risorse naturali e di attrattiva per i traffici illeciti
verso il canale di Panama, la popolazione civile è nella morsa delle guerra tra
FARC e paramilitari. Nel 1997 è nata la Comunità di Pace di San José de
Apartadò che si impegna a non prender parte al conflitto armato. Ed è dal 2009
che i volontari di “Operazione Colomba” effettuano diverse attività nella zona
condividendo con la popolazione locale le condizioni di povertà e di rischio, e contribuendo alla
riduzione della violenza e dello sfollamento forzato attraverso
l’accompagnamento non armato dei profughi, dei leader e dei membri della comunità.
Albania – Dal 2010 “Operazione
colomba” è pre-sente a Scutari per sostenere la missione della comunità
Giovanni Paolo XXIII sul fenomeno delle “vendette di
sangue”. Secondo l’antico codice civile
medievale del Kanun, per cui l’onore perduto o l’omicidio vanno pagati con la
vita, ancor oggi sono molte le faide familiari che vedono coinvolti i minori
costretti a portare avanti la vendetta o a rimanere segregati in casa per paura
di subirla. I volontari di “Operazione Colomba”, insieme ad altri, sostengono
le persone recluse e preparano alla costituzione di percorsi di riconcilia-zione.
Nord Uganda – Nel conflitto che ha colpito
la popolazione civile dell’etnia Acholi, vittima dell’esercito dei ribelli e
dell’Esercito nazionale, “Operazione Colomba” ha aperto una presenza stabile a
Minakulu fino al 2008 per permettere ai civili di ricostruire il tessuto
sociale: «In questo modo riuscivano a non essere più le vittime del campo
profughi, ma a trasformarsi in persone reattive e consapevoli delle proprie
decisioni» racconta Francesca, una dei volontari.
A queste si aggiungono molte altre azioni, come nelle
zone in Chiapas, Messico, o Ceceni, ma anche in Italia, a Castel Volturno
quando attorno al tema delle migrazioni si sono aperte situazioni di emergenza
e alta è stata la tensione sociale.
Cisgiordania – E ancora un altro capitolo importante della storia di
“Operazione colomba” si svolge a pochi
km dalla linea verde di confine con Israele, dove la popolazione del villaggio
palestinese di At-Tuwani ha fatto la propria scelta. Convinta che le conseguenze
negative, dovute all’utilizzo della lotta nonviolenta, siano nettamente
inferiori agli effetti distruttivi della lotta armata, negli anni ’90 si è
riunita in un Comitato popolare di resistenza non violenta delle colline a sud
di Hebron attraverso l’appoggio delle organizzazioni pacifiste israeliane e
israelo-palestinesi, ma anche internazionali tra le quali, dal 2004,
“Operazione Colomba” in qualità di parte esterna al conflitto col compito di
segnalare e denunciare le violazioni dei diritti umani. Ciò garantisce un’importante forma di deterrenza
alle aggressioni da parte dei coloni e dell’esercito d’Israele. Ecco allora sit
–in, marce, la non collaborazione, incontri tra le parti, advocacy e networking
con organizzazioni pacifiste internazionali e il modo in cui israeliani e
palestinesi spesso realizzano i propri interventi fianco a fianco e la
popolazione palestinese locale. Federica, una dei volontari di “Operazione
Colomba” racconta: «Un giorno, durante una manifestazione dei bambini per i
loro diritti, una mia compagna è stata arrestata. Per me è stato un duro colpo,
ma allo stesso tempo mi ha risollevato vedere le facce dei bambini che sono
riusciti a marcare nonostante tutto». È il modo nuovo di vedere il conflitto,
abitandolo, poiché, come ha sottolineato il portavoce del Comitato Hafez
Huraini: «Se scegli la violenza sei solo; se scegli la nonviolenza hai bisogno
della solidarietà degli altri».
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