martedì 30 giugno 2015

Micheline, Congo: La felicità dell'individuo non consiste nella ricchezza materiale

Oggi, l'Africa in generale e quella sub-sahariana in particolare, sta vivendo momenti difficili della sua storia: guerre, terrorismo, epidemie mortali (Ebola, AIDS, malaria), fame, incremento demografico...

La maggior parte delle vittime di questa catastrofe che sta vivendo l’Africa sono i giovani. Essi vengono reclutati a forza nei gruppi armati, abbandonano le scuole per mancanza di sostegno economico, chi riesce a finire lo studio passa anni e anni senza lavoro.

Tuttavia, i giovani africani non vivono soltanto la sofferenza perché sono anche portatori di speranza nei loro Paesi, lavorando per il cambiamento, lottando per il benessere e la riconciliazione delle loro comunità spesso divise per motivi etnici, religiosi, sociali ed economici. Questi giovani sono attivi nella società civile, nei partiti politici e in varie iniziative per lo sviluppo del loro popolo.

Ultimamente, nei Paesi colpiti da ebola (Sierra Leone, Liberia e Guinea), il ruolo dei giovani è stato fondamentale per fermare la contaminazione di questa epidemia attraverso la sensibilizzazione e accettando di rischiare la loro vita per sostenere le vittime.

 Nel mio Paese, la Repubblica Democratica del Congo, nonostante la guerra durata più di 20 anni, i giovani congolesi credono ancora nel cambiamento. Hanno ancora il coraggio di denunciare o rivendicare i loro diritti con determinazione attraverso manifestazioni e altri mezzi.

In diversi Paesi africani, i giovani stanno iniziando attività generatrici di reddito, per sfidare la povertà. I risultati di queste iniziative sono sorprendenti nonostante i numerosi ostacoli.

Segnali scoraggianti illustrano il benessere secondo la concezione occidentale, ma la vitalità di questi giovani africani dimostra che la felicità dell'individuo non consiste nella ricchezza materiale, o solo nelle innovazioni scientifiche.

La felicità che nasce da quello che siamo e non da quello che abbiamo, ci fa sognare un futuro migliore. Questa è la nostra ricchezza che forse dobbiamo condividere col resto mondo. Lo dico partendo dalla mia esperienza personale, perché mi sento felice nonostante non abbia mai conosciuto un periodo di pace per la quale sto lottando e sono pronta a dare la mia vita. La commemorazione del settimo anniversario della morte di Chiara Lubich ci ricorda il suo pensiero sull’inculturazione, intesa come scambio di doni, e la considerazione che aveva del continente africano. Intravedeva il dono che le culture africane sarebbero potute essere per il resto del mondo, perché da esse emerge un concetto comunionale dell’uomo.

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