mercoledì 12 agosto 2015

La porta del perdono per salvare la vita e la storia

La durezza della morte del piccolissimo bimbo palestinese che diventa come una torcia non ci lascia dormire e non può essere cancellata a basso prezzo. Solo il perdono reciproco può salvare questi due popoli, che la storia e la cultura chiama alla convivenza e che la politica costringe sulla via di un conflitto senza fine.

Circa una settimana fa veniva ucciso Ali Saad Dawabsheh. Alla periferia di Nablus dei fanatici della destra israeliana hanno spaccato il vetro di una finestra, hanno lanciato una molotov e nell’incendio viene ucciso questo bimbo di 18 mesi e feriti in modo gravissimo i due genitori e il fratellino.Certo in tante altre parti del mondo si compie la violenza e l’odio. E forse a Gaza nelle stesse ore qualche bimbo palestinese moriva, perchè non adeguatamente curato e protetto, ma certo la durezza del piccolo, piccolissimo Alì (18 mesi) che diventa come una torcia non ci lascia dormire, non ci lascia pensare, non può essere cancellata a basso prezzo.

È del tutto evidente che l’odio è davvero la grave e grande malattia del Medio Oriente, una malattia che appare in qualche momento come insuperabile. L’odio che nasce dal considerare l’altro come nemico assoluto e non come fratello. L’odio che produce l’umiliazione dell’altro il suo inginocchiamento di fronte alla potenza illimitata del nemico. Il popolo israeliano e il popolo palestinese, i due popoli, che dichiarano costantemente di volere due stati per due popoli, poi si muovono con la logica della guerra, della rappresaglia, dell’azione e della reazione, in un processo di moltiplicazione della violenza senza fine e senza limiti.

Un anno fa furono sequestrati e uccisi tre ragazzi ebrei e, poco dopo, venne arso vivo un ragazzo palestinese di sedici anni, mentre il fuoco cominciava a travolgere Gaza, come se fosse impossibile fermare la guerra e la violenza. E oggi Ali è la vittima di una logica terribile. Altri Alì seguiranno.

Come fermare la spirale dell’odio? Questa autocombustione dell’odio, che distrugge tutto e tutti. In primo luogo quelli che alimentano questo incendio senza fine. Solo il perdono reciproco può salvare questi due popoli, che la storia e la cultura chiama alla convivenza e che la politica costringe sulla via di un conflitto senza fine.

Ecco la vera alternativa alla cultura dell’odio: la cultura del perdono. Perdonare non è un atto di buona educazione ma è perdonare l’imperdonabile, perdonare il nemico non l’amico. È la vittima che perdona il carnefice ed è il carnefice a essere perdonato dalla vittima. Perdonare l’imperdonabile è riconoscere la verità dell’imperdonabile: la verità e la responsabilità di quella molotov, di quell’assassinio stanno e trovano la loro sorgente in quel fanatismo che spinge frange israeliane alla violenza, senza più parole, come spinge quei comportamenti di guerra che stanno dentro la politica israeliana e palestinese.

Non possiamo mai dimenticare Gaza, il suo dolore e la sua sofferenza, ma non possiamo rimanere eterni prigionieri di Gaza e delle sue politiche di ritorsione. Ecco la fatica della riconciliazione di questi due popoli e due società: perdonare ed essere perdonati, nella verità dei fatti e delle responsabilità di ciascuno.

Ecco quello che sta dentro il mistero di Alì, della sua morte scandalosa e terribile. Di fronte a questa morte gli israeliani devono riconoscere le loro responsabilità, le responsabilità della loro politica, che ha fatto della sicurezza un idolo, al punto da toglierla ai palestinesi, da usarla contro di loro e, al tempo stesso, i palestinesi devono riconoscere che la rappresaglia è un errore morale prima che politico.

Alì ci dona il perdono, nella sua vita e nella sua morte, nella sua fragilità assoluta e al tempo stesso nel suo morire a un anno e mezzo, cancellando il suo progetto di vita e di futuro, sperimentando nella sua piccolezza a forza della violenza.

Non possiamo non ricordare l’omelia di papa Francesco a Betlemme e la preghiera a Roma, con Peres, Abu Abbas e Bartolomeos. Papa Francesco ha parlato della “porta del perdono”,come la porta della vita e della storia. Si esce da Gaza passando dalla porta del perdono, quella porta che, nella sua piccolezza, Alì ci indica. Ecco Alì ci precede, nell’attraversare quella porta. Questa porta è offerta a tutti, israeliani e palestinesi, uomini e donne del Medio Oriente, tutti coloro che seguono il sentiero dei profeti.
 E allora Alì diventa per noi maestro della pace e del perdono, nella sua piccolezza e nella sua tenerezza e ci aiuta ad attraversarla semplicemente con la forza dell’amore, che abita il cuore dei più piccoli.

di Massimo Toschi, Città Nuova

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