Dieci rifugiati e altrettante famiglie partecipano al progetto sperimentale “Rifugiati in famiglia,” gestito da Ciac onlus nell’ambito del Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati (SPRAR) dei comuni di Parma e Fidenza.
Quelle che si sono affacciate al progetto sono famiglie con fatiche, lavori precari, giornate strapiene di impegni, che scelgono di partecipare ad una iniziativa del genere perché hanno una forte spinta motivazionale, culturale e politica rispetto a una proposta che sicuramente sconvolge la loro quotidianità. “Noi scherzando diciamo che non c’è una famiglia normale, ma proprio questa è la sua bellezza,” dice Chiara Marchetti, responsabile del progetto.
I racconti delle famiglie e dei rifugiati che condividono questo percorso parlano di normalità e quotidianità, di nuovi legami che si stringono all’interno delle mura domestiche ma anche nell’intera comunità. Una fase del percorso d’integrazione che non sostituisce, anzi, completa le precedenti fasi dell’accoglienza.
Tra loro c’è Giorgio Campanini, professore di filosofia in pensione che ospita Mursal, somalo di 25 anni, con la speranza di rappresentare un ponte verso un pieno inserimento del giovane nella società parmense. “Ho ritenuto doveroso fare anch’io la mia parte, e la farò volentieri. Una piccola parte, un atomo di un grande aggregato, ma l’aggregato è fatto appunto di atomi,” racconta.
Mursal svolge un tirocinio presso una fabbrica di metalmeccanica e frequenta le scuole serali per conseguire il diploma di ragioneria. Quando ritorna la sera a casa trova sempre la cena pronta: “Una cosa che mi rende felice, non me l’aspettavo ma l’ho trovata qua.”
Oscar e Sabrina, infermieri e genitori di Rocco, 9 anni, e Manuel, 5 anni, hanno scelto di opsitare Siraj un giorno parlando in cucina. “Chiesi a Sabrina cosa ne pensasse dell'idea di ospitare un profugo rifugiato nella nostra famiglia e lei mi rispose con semplicità disarmante che sì, era d'accordo.” Così ha avuto inizio la loro avventura con Siraj, padre di due bambini lasciati in Somalia. Arrivato a Lampedusa nel 2013, mai avrebbe pensato di vivere un giorno con una famiglia italiana.
Ma questa è anche la storia di Stefania, che ha sempre voluto trasmettere alle sue figlie i valori dell’amore e dell’accoglienza e che ha tradotto in pratica quest’insegnamento accogliendo Kady, rifugiata della Costa D’Avorio.
E’ la storia di Jacopo e Chantal che vogliono insegnare ai loro figli “che, sì, abbiamo le nostre belle cose ma si può anche condividere con chi, temporaneamente, è in difficoltà.”
E’ la storia di Massimo e Salah, iraniano arrivato a Parma del 2011, che sono riusciti a trovare un incontro sulle posizioni politiche come anche sulle preferenze dei programmi televisivi e che alla fine hanno deciso di continuare a vivere insieme anche dopo la chiusura del progetto.
Questa è la storia di tutte le persone che hanno scelto di aprire le loro porte per accogliere un rifugiato a Parma e provincia. La storia di un paese che accoglie.
Fonte: UNHCR.it
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