Alcuni elementi del convegno internazionale "On City" promosso da diverse agenzie del Movimento dei Focolari. Riflessioni, contributi, buone prassi, dialogo informale e workshop sui diversi volti della città come luogo del dialogo
Quasi 900 partecipanti, molti giovani, provenienti da
46 Paesi del mondo – dalla Corea agli Usa, dalle Filippine all’Uganda,
passando per il Sudamerica e tanti Paesi europei, il Messico, il
Camerun, il Libano e molti altri – per condividere i punti di vista e i
volti più vari delle nostre città, le piste di azione e le esperienze
efficaci per renderle più umane, più fraterne, aperte al futuro e alla
vita delle nuove generazioni.
Come ha detto il professor Giuseppe Milan dell’Università di Padova,
si sono scoperte città diverse ma comunemente «frammentate, violentate
da conflitti, arcipelago di isole culturali separate che non si
incontrano… città autistiche, murate in cui si costruiscono muri, luoghi
chiusi, ghetti, periferie abbandonate, città dell’indifferenza o del
conformismo imposto…». Quale il significato del dialogo in città così
descritte? Oggi molto spesso si parla di dialogo in vari contesti
culturali e in varie aree geografiche. L’esperienza del congresso
internazionale On City ha focalizzato la città come il
luogo prossimo della nostra relazionalità. Come più volte ha detto
Chiara Lubich, fondatrice del Movimento dei Focolari, si tratta di un
arricchimento reciproco, un volersi bene e creare già la fraternità
universale su questa terra e quindi a partire dalla città.
Gli sguardi e le buone prassi presentate a On City, provenienti da
approcci disciplinari e parti del mondo diverse, sono accomunate dalla
finalità di un percorso che fa intravvedere una comune tensione a una città ideale.
Lo abbiamo visto all’interno di contesti pedagogici, o dentro una corte
penale, attraverso la realizzazione di una nuova architettura in una
delle più violente città del Sud America, Medellin, o nella
ricostruzione di nuovi rapporti interculturali a Sarajevo. Attraverso
l’azione dei giovani in Libano durante la recente guerra, oppure nel
lavoro di un'associazione madrilena che sa guardare ed entrare in
dialogo con i poveri ma anche con quelli che l’impegno per una fattiva
cooperazione internazionale gli ha fatto scoprire in Africa.
O nel lavoro paziente e lungimirante dell’Associazione “Città per la Fraternità”, rappresentata oggi dalla presidente Silvia Monachesi, sindaco di Castel Gandolfo.
Impegno che ha saputo mettere in dialogo e in rete più di cento comuni
d’Italia e oltre, per fare della fraternità una categoria politica da
vivere nel rapporto tra istituzioni.
Si coglie un’esigenza di bellezza per e nelle città. È questo il
possibile frutto del dialogo, con quale forma? Le buone prassi
conosciute e sperimentate durante On City hanno rappresentato una
speranza certa, testimoniato che è possibile far del dialogo il motore
di un nuovo sviluppo delle nostre città, una vera risposta al terrorismo
e alla paura che si respira. Direi di più, proprio perché tali hanno
mostrato una dimensione estetica; una bellezza capace veramente di
“salvare il mondo”. Occorre però riconsiderare l’arte non più "cenerentola" della vita di una città.
Essa ha una funzione sociale inimmaginabile. Da essa è possibile trarre
un’energia capace di generare una nuova armonia sociale quanto mai
necessaria alle nostre città.
Fonte: CittaNuova.it
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