giovedì 30 aprile 2015

Aggiornamento dalla SMU 2015 in India - 29 aprile

Anche oggi arrivano aggiornamenti dai 120 giovani presenti in India per la Settimana Mondo Unito. Il clima che si respira in sala è, si sin dalla mattina, quella di una festa. Un festival, appunto. Ma, oggi, lo si vuole interpretare come la celebrazione della diversità dell’altro che può diventare, se valorizzata ed accolta, un ponte per il dialogo.  Tra i presenti si è aggiunto anche Zain, giovane giornalista indiano, inviato di Channel News Asia. Avendo saputo di questo laboratorio internazionale, ha deciso di venire di persona perché «è importante che i giovani si interroghino su come essere generatori di dialogo».


In sala si alternano vari interventi, e il confronto che ne segue è intenso e vivace.


Inizia Metta, thailandese e buddista, professoressa di filosofia: «volersi aprire al dialogo significa creare una relazione. Quando ho conosciuto i Giovani per un Mondo Unito, mi sono sentita libera di esprimere la mia religione fino in fondo. E da allora, ho capito che, qui nella mia terra, potevo essere un ponte tra i buddisti e i cattolici». È un fiume in piena, Metta. Racconta molte esperienze ed è entusiasmante quanta concretezza c’è nelle sue parole: «ho capito che anche come cittadina sono chiamata a dare un contributo attivo alla costruzione della nostra società. Anche se con caratteristiche e percorsi di fede diversi, siamo tutti fratelli e sorelle».

Continua Vinu, direttrice dello Shanti Ashram e Presidente onoraria della conferenza mondiale “Religions for Peace”: «ciascuno ha tante possibilità di costruire il dialogo. Ma bisogna farlo con tutto sé stessi: con la voce, con le idee; ma soprattutto con azioni concrete. È questa la sfida più grande per chi vuole dialogare: aprirsi positivamente senza chiudersi, senza creare delle barriere. Dialogo è, innanzitutto, azione: ascoltarsi reciprocamente, capirsi fino in fondo, e poi agire. La Settimana Mondo Unito è un esempio di tutto ciò: unisce le nostre vite e ci aiuta a darci coraggio». Alla domanda su quale sia l’aspetto del dialogo che la colpisce di più in questo momento storico, Vinu risponde «che è importantissimo il dialogo intergenerazionale».

Prende la parola Marco, italiano che ha vissuto tantissimi anni negli Stati Uniti d’America. Con grande entusiasmo, ci parla della sua avventura: «nel 1997, Chiara Lubich venne a trovare l’imam W.D. Mohammed nella moschea Malcom X di Harlem (un quartiere di New York). 3.000 musulmani afro-americani dell’American Society of Muslims la ascoltarono e, da allora, abbiamo cercato di continuare quel dialogo così intenso. Mi ricordo, ad esempio, che a seguito degli attentati alle Torri Gemelle del 2 settembre 2011, la comunità musulmana era molto scossa. La tensione, ad Indianapolis, era molto alta. Una sera, alcuni dei nostri amici musulmani ci raccontarono che avevano ricevuto minacce e l’avvertimento di non avvicinarsi alla moschea. Dovevamo fare qualcosa. Il venerdì successivo, giorno della loro preghiera comunitaria, decidemmo di far sentire la nostra vicinanza assistendo per tutta la celebrazione. Loro erano nostri fratelli, e dovevano sentirsi liberi e sicuri».  Racconta tante altre esperienze che, messe insieme, tracciano una bellissima e concreta storia di dialogo fra due comunità. «Tre mesi fa ho saputo che dovevo tornare in Italia. Con mia grande sorpresa, a pochi giorni dalla partenza ho ricevuto una telefonata dall’imam per farmi gli auguri. Mi disse: “devo ringraziare Dio perché, nella mia vita, ho avuto due fratelli. Uno dei due sei tu”».

Segue Racid, giovane algerino musulmano, racconta di come ha cercato, sin da subito, di far sentire accolti alcuni giovani cattolici in una comunità a maggioranza musulmana: «siamo partiti da piccoli gesti, come una cena o festeggiare insieme; atti concreti che costruiscono ponti di fraternità fra le persone e le culture».

Munal, professoressa di filosofia, racconta di come è nato il suo desiderio di generare il dialogo. Attualmente, fa parte della organizzazione “Anem Prem” (Amore Incondizionato): «i giovani non sono solo il futuro, ma sono anche e soprattutto il presente! Ognuno di noi può scegliere di chiudersi in se stesso oppure iniziare a costruire rapporti personali veri, iniziare a dialogare con tutte le persone che incontriamo. Bisogna stare attenti perché, spesso, pensiamo che l’opposto dell’amore sia l’odio. Invece, l’opposto dell’amore è l’indifferenza. L’indifferenza a persone ma anche a situazioni sociali».


Nel pomeriggio, i giovani si sono divisi in 8 gruppi. Ciascuno di loro ha visitato una realtà ben specifica: c’è chi ha approfondito la realtà di Udisha (in urdu “Il raggio di sole che porta una nuova alba”) che coinvolge, ogni anno, oltre 100 bambini, ragazzi e giovani e molte madri. (per maggiori info: link)

Ma c’è anche chi ha approfondito altre realtà come quella di un istituto che cura i malati di lebbra, oppure chi ha deciso di visitare una organizzazione che dona un tetto ai bambini senza fissa dimora… Insomma, le storie da raccontare sarebbero tante. Ma basta guardare gli occhi dei giovani che tornano per sapere che, per ciascuno, è stata una esperienza molto forte, toccante, ma anche entusiasmante e che ha lasciato dentro tanta voglia di fare!


In serata, si chiude con un vero e proprio festival in stile indiano. Cibo, musica, colori… durante la serata, ognuno dei giovani rappresenta (con canti e danze), la propria cultura… un modo per condividere, con tutto l’entusiasmo che i giovani sanno trasmettere, la gioia di donare anche la propria cultura pur di costruire ponti di fraternità.


Francesco Ricciardi

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